Non ho fatto
foto in grotta perché non ho pazienza. Altri, più calmi e meno impusivi di me,
cercheranno l’inquadratura, studieranno le luci, posizioneranno illuminatori,
lavoreranno delle mezz’ore per catturare poche, pochissime istantanee della
magia del mondo sotto di noi. Tecnici e artisti della perfezione, regaleranno a
chi ci aspetta fuori un assaggio di questa nostra avventura, e a noi, un
supporto materiale per la memoria.
Ma io non
riesco a scegliere tra tutto ciò che ho attorno quello che voglio portare con
me. Lo sguardo salta da una parte all’altra con l’entusiasmo molesto del
novellino, inghiotte ciò che ha attorno con la voracità di chi non sa quando e
quanto troverà ancora. Esploro ogni angolo cercando di imprimere nella mente
mille immagini di questa bellezza. Se dovessi fare una foto a tutto ciò che mi
è sembrato valerne la pena, non uscirei di qui per dieci anni almeno.
Ma forse non ce
n’è bisogno. Gli occhi ricorderanno ciò che vale la pena ricordare.
Non ho fatto
foto perché in grotta la luce è un estraneo. La portiamo giù noi, che ci
affidiamo alla vista per conoscere il mondo più che a ogni altro senso, che ne
abbiamo bisogno quasi quanto l’aria per non restare per sempre qua sotto.
Eppure, nei momenti di quiete cerco il buio, e il gesto della mano che sale a
spegnere la luce sul caschetto è automatico e confortante come una carezza. Il
buio mi accoglie come in un abbraccio, come un ritorno a casa. La luce la cerco
solo risalendo, mentre sudo per la fatica, vedendo in alto quell’altro mondo
che si avvicina e chiedendomi se è questo che prova un bambino a nascere.
Non ho fatto
foto perché la grotta è un mondo di suoni. L’acqua che mormora o romba, che
stilla lenta dalle concrezioni che crescono, unico segno tangibile di una vita
millenaria troppo lenta per i nostri sguardi di un attimo. Il rumore secco del
sasso che cade, a ricordarti che il rischio esiste e che la tua è comunque
sempre una vita in prestito. La voce degli istruttori nei momenti chiave, a
indicare la direzione, prima della mente che non del gesto.
“Molla tutto.
Guardami.”
Silenzio.
Sguardo che si fissa nel mio.
“Calma. Ok?
Respira. Ti stai divertendo.”
Sono qui per
questo.
“Non puoi
litigare con la grotta, tanto, vince sempre lei.”
Amara verità.
Mezzo sorriso.
“Devi esserle
amica.”
Sei tu che vuoi
entrare in punta di piedi e in punta di piedi te ne vuoi andare.
Non ho fatto
foto perché nessuno scatto potrà mai restituirmi l’odore della corda bagnata,
il peso dei sacchi, la consistenza del fango tra le dita, la soddisfazione di
cercare un appiglio solido e di trovarlo, di sentire il piede che non scivola.
La concentrazione totale e assoluta nell’affrontare passaggi difficili, il
conformarsi a immagine e somiglianza della roccia nei meandri stretti. Lo
sfregare della corda che scivola tra le dita quando scendo sul discensore. La
fatica, certo, ma anche il ritmo perfetto del doppio passo della salita, quella
sinergia dei bloccanti che ti porta pian piano a vincere la più antica delle
forze con un connubio inscindibile di tecnica e potenza. Il respiro che si
adatta al ritmo di lavoro dei muscoli, la soddisfazione totale nel sentirli
eseguire ogni movimento quasi al massimo delle loro possibilità. La bellezza di
stare appesa nel vuoto e la fiducia totale in quel moschettone, in quella
piastrina, nell’armo fatto dai miei compagni, nella corda che tiene il mio
peso. In quello spit che non salterà, nei bloccanti che non cederanno, nella
mia mano che non mollerà la presa sotto al discensore.
Ma anche questa
non è una richiesta, è una preghiera a cui ad occhi chiusi mi affido. I dubbi
sono cosa del mondo di fuori, e non mi sfiorano nemmeno. Se qualcosa succederà,
ci penseremo allora.
Non ho fatto
foto perché in grotta ho imparato a scendere solo con l’essenziale e solo con
quello voglio risalire, perché in grotta non si ruba e non si abbandona. Non ho
fatto foto perché, in un mondo di immagini e di emozioni a buon mercato, voglio
che la grotta si presenti attraverso la mia voce, parziale e imperfetta, e che
chi vuole vedere quello che io ho visto debba fare la fatica di venirselo a
cercare.
Non ho fatto
foto perché in grotta non esiste passato e non esiste futuro. Anche il tempo è
cosa del mondo di fuori. E forse è questo che più di tutto mi ha affascinato,
questo vivere l’attimo senza ieri e senza domani, sequenza di istanti di eterno
presente. Il qui ed ora l’unica cosa che conta, e la serenità infinita che
nasce da questa certezza.
Ed è per
assaporare questa sensazione che non voglio risalire, che mando avanti gli
altri con ogni scusa più o meno plausibile, quando sono a un passo dall’uscita.
“Dai, fai un
cambio attrezzi e torna giù. Io ti aspetto qui.”
“Sul serio?”
“Sul serio.”
Felicità pura,
come un bambino a cui hanno regalato il giocattolo dei sogni. Discensore, mezza
chiave e chiave, stacco i bloccanti e torno giù. Un altro pezzo di eternità
strappato al tempo.
Non ho fatto
foto perché non voglio lasciare spazio alla nostalgia, per fare in modo che
questa esperienza non appartenga solo al passato ma anche al futuro, e
soprattutto, al presente, unico tempo che abbiamo per vivere.
Il mondo di
fuori, luogo dei dubbi e del tempo, mi reclama. Spero solo di riuscire a
scappargli ancora.
And the vision
that was planted in my brain, still remains
within the
sound of silence.
Anna (corsista 2019)
1 commento:
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