mercoledì 4 novembre 2009

Land of hope and dreams

Heaven's waiting on down the tracks
Oh oh come take my hand
Riding out tonight to case the promised land

(Bruce Springsteen)

Dai che tra un po’ sarò fuori da questo scatolone con le ruote a respirare fatica ed autunno, ad arrancare ancora una volta su per quella salita, ancora un po’ di pazienza e le foglie dei faggi scricchioleranno sotto le dure suole dei miei scarponi.
Poi mi guardo intorno e mi chiedo quanti altri vuoti ci saranno dentro a queste montagne, quanti sogni trasportati dall’acqua saranno immagazzinati lì dentro tra le rocce, ascolto il boss che rincorre sogni di gloria sull’asfalto infuocato, cerca come tutti noi una terra promessa fatta di speranza e sogni, e forse è proprio lì, nel cuore della montagna che noi l’abbiamo trovata.
Poi entro in valle: sembra strano, ma nello stesso istante anche la musica del boss cambia e una splendida atlantic city mi accompagna tra i colori dell’autunno offuscati dalle nuvole basse, tra i pennacchi di fumo dei fuochi nel bosco, tra i camini delle poche case che fumano. Mi sembra di essere entrato davvero nel paese d’ottobre di Ray Bradbury, dove tutto è possibile, dove nella malinconia dei pomeriggi che fuggono veloci c’è spazio per il lungo buio della notte dove nascono e vivono i sogni più belli e incredibili.
Capisco che c’è un passaggio tra due mondi paralleli e lì mi infilo con i miei pensieri. So che questo è il luogo dove i sogni possono diventare realtà, che questa è la porta per entrare e che oggi è il giorno giusto per farlo: Halloween!
Poi tutto scorre veloce: la dura salita con Simone, lo zaino più pesante del solito, la casera, il Cica e il Capp che ci aspettano, poi gli altri che arrivano alla spicciolata, minestrone caldo, caffè, e poi la notte che con le sue foschie conserva e culla i nostri sogni.
La splendida mattina che ci sveglia sembra irreale, dipinta nella sua lucida nitidezza, poi i soliti preparativi, i soliti rituali nell’inevitabile confusione della casera, ma oggi sembrano avere un significato diverso, un sapore strano e nuovo.
Qualcuno si mette in strada, qualcuno si sofferma un po’, ma alla fine per tutti inizia un altro viaggio: quello più bello!
Il PE10 è splendido e non ho nessun dubbio a scegliere tra questa straordinaria mattina di luce e il buio dell’abisso: giù! Il richiamo è troppo forte, il denso buio che sale dall’ingresso è troppo invitante, la corda bianca mi tira verso il cuore della montagna. Giulia scende veloce davanti a me, io la seguo a ruota. Mi sento come a casa a percorrere queste strade conosciute, non so cosa sia ma oggi è diverso, diverso da ogni altra punta, sono più rilassato e tranquillo, respiro l’aria umida, sento la polvere della corda secca che scricchiola tra i denti, la solita doccia sotto al 60 mi fa il solletico sul collo.
Ascolto la grotta che parla, la sento respirare e mi pare che oggi abbia voglia di sorridere e capisco che si sta divertendo anche lei con noi, capisco che le cose gireranno per il verso giusto.
Giù alla locanda tutto sembra irreale, aspettiamo tra un the e un piatto di tortellini in un’attesa che si trasforma nella conferma che tutto è possibile solamente quando sentiamo il rumore degli altri. Vedo il Capp e Omar che arrivano, poi tutti gli altri. Sorrido a pensare che la locanda non è mai stata così affollata. Siamo una quindicina qui giù,a quasi 600 metri sotto terra, a qualche chilometro dall’esterno, a una decina di ore dall’uscita, uniti in un sogno che non sembrava possibile, ma che ora sappiamo essere diventato realtà: Isabella e PE sono davvero la stessa grotta!
Qualcuno si butta sotto il poncho, qualcuno riposa in bivacco, chi beve un caffè, chi si pulisce la tuta dal fango, Luciano lascia un ricordo di Michele alla locanda.
Ma è già ora di partire, all’inizio per vie conosciute nel Bortolomiol, e poi per la condotta scoperta da Marco U e Omar: la congiunzione. Poi è tutta Isabella: meandro, saltini, passaggi scomodi (come ha detto Luca: un acceleratore di bestemmie). Ci sgraniamo lungo il percorso, l’unico contatto con gli altri è il tonfo dei sacchi contro le pareti del meandro. Mi piace godermi da solo questo tratto di grotta e penso alla prima volta che Michele e Luciano l’hanno percorso in discesa, alle esplorazioni degli altri, alla determinazione di Cesco e di come Isabella si sia presa gioco di lui indicandogli una strada diversa per portarlo chissà dove.
Poi sento gli altri, un ultimo saltino e li vedo seduti in una splendida galleria, il tempo per riposarsi e poi ancora con il sacco su passaggi in frana e ancora gallerie, fino ad un passaggio basso dove l’aria risucchia anche la luce del mio led. Striscio fuori, vedo Francesco con la telecamera, e poi un flash: un sogno che in un attimo si realizza.
In una frazione di secondo il buio che ho respirato per una ventina di ore si mescola con la luce del sole di una mattina d’autunno, col verde intenso dei mughi, col grigio del calcare delle pareti, con l’azzurro del cielo, col giallo dei larici. L’ingresso di Isabella si materializza davanti a me, la Gusela Marini dritta sulla Val del Burt sorride: è fatta!
Il sogno di attraversare la montagna è diventato realtà, sono troppo contento! Troppo!
Guardo le facce stanche degli altri, poche parole, ma si capisce che non serve che ci diciamo cosa stiamo provando. Con loro ho condiviso le mille emozioni dell’esplorazione in PE10, dalle più eccezionali alle più deludenti, freddo, fango, ghiaccio, the, stretto, carburo, soddisfazioni, sacchi pesanti, sogni, acqua, parole, sacchi a pelo bagnanti, teli termici,buio, soprattutto buio, buio da plasmare, da masticare, da schizzare della luce dei nostri sogni.
Non serve parlare, basta l’espressione degli occhi, quasi chiusi dal sonno, increduli, ma accesi di una luce intensa e unica.
Ci svacchiamo all’ingresso e ci scaldiamo ai raggi del sole, c’è tempo per aprire la mignon di prosecco che mi sono portato nel bidoncino stagno fin qui, chiamo Michela: sono all’ingresso di Isabella! Tutti fuori! Splendido! A dopo!
E poi si riparte, ma è ancora lunga, almeno tre ore di strada ci separano dalla casera, prima i passaggi in cengia e poi il pian di Cimia, la parete spettacolare del Pizzoc, il Colsento… un lungo rientro, lungo ma splendido. Un panorama da paura, una giornata autunnale spettacolare, tutto contribuisce a rendere unica questa punta.
E poi siamo in piana di Erera, e qui Paolo e Fabiana ci aspettano tra i mughi, l’abbraccio e lo sguardo di Paolo valgono più di ogni racconto e più di mille parole! Alla fine siamo in casera dove troviamo gli altri … una birra fresca mi ricarica subito le pile! Poi la pasta del Cica, il sorriso di Federica, le chiacchiere, ancora birra, il casino, e poi iniziamo a vedere anche gli altri che arrivano dal PE10 ed è ancora più festa.
Tutti stanchi, ma tutti felici!
Sarà, ma ancora oggi fatico a credere che questo sogno collettivo sia diventato realtà, il fatto di avere percorso la congiunzione tra PE10 e Isabella, non so perché, ma non riesce a rendermelo più reale. Mi sembra ancora impossibile che i sogni di vent’anni di esplorazioni, le fatiche di decine e decine di persone, si siano realizzati in una splendida giornata d’autunno.
E il bello è che il sogno non finisce qui: il respiro della grotta continua a portarci sempre più in giù, sempre più in là, sempre oltre a qualche fessura impraticabile, alla base di un pozzo dove l’acqua sparisce tra i sassi, oltre un traverso dove occhieggia l’imbocco di una galleria, dove il buio è più buio di quanto si possa solo immaginare.

Un grazie a tutti quelli che hanno reso possibile questa traversata: molti l’hanno immaginata e sognata (Cesco in particolare), qualcuno è riuscito realizzarla, altri come noi a percorrerla, ma forse questa non è nemmeno la cosa più importante.

In grotta c’erano:
Anna, Cristina, Giulia, Luca, Andrea, Francesco, Marco U, Simone e Ciccio (PE10 – Isabella)
Cinzia, Luciano, Omar, Enrico, Franco, Walter e Larry (Isabella – PE10)
Ma fuori c’erano molti altri: il Cica, Bepi, Giulio, Domenico, Paolo,Fabiana, Tony, Federica, Gianni e i ragazzi del soccorso alpino di Feltre, e qualcun altro che sicuramente mi sono dimenticato.
Altri avrebbero voluto esserci ma non ce l’hanno fatta per mille motivi.
Un grazie speciale però va a Michele e Stefano, a cui è stata dedicata la congiunzione. Chissà se c’entrano qualcosa con queste due splendide giornate estive? A me piace pensare che una buona parola ce l’abbiano messa. Del resto a Halloween tutto è possibile … e tra ieri e oggi quaranta di centimetri di neve hanno ricoperto le nostre impronte!

Hasta la cueva siempre!

Ciccio

giovedì 1 ottobre 2009

Un ricordo di Michele - 30 settembre 2009


Era l’estate del 2001. Io, ragazzetto di pianura, mi affacciavo in punta di piedi al mondo delle grotte e della speleologia. Il campo speleologico in Piani Eterni era una delle prime occasioni per assaporare il piacere dell’esplorazione sotterranea.
E farlo con gli amici di Valdobbiadene, Belluno e Feltre costituiva l’opportunità per frequentare gente in gamba – pensavo fra me e me -. Tutta gente più grande, più esperta di me, più brava, tutte persone che suscitavano quella riverenza che si prova verso i veterani. Nessuno però mi trattava da piccolo, e questo mi dava grande soddisfazione: sentirsi trattato quasi al pari di un Marco u, un Paolo o un Ciccio... beh scusate se è poco...
Una mattina ecco spuntare dal Vallone di Campotorondo gente nuova. Nuova per me, che non li conoscevo, ma gente conosciuta e ben più avvezza alle scorribande negli abissi dei Piani Eterni.
Nel frattempo al campo si era deciso di dedicare la giornata allo scavo della grotta Bronchite, che la neve invernale aveva tappato. Voi potete immaginare cosa vuol dire scavare un tunnel nella neve di un abisso che qualcuno ha chiamato Bronchite! Beh, forse io non lo avevo ben intuito, così mi stavo preparando in casera con tutto il materiale: la tuta, il carburo, un badile... proprio tutto, fuorchè quello che poteva servire per stare al caldo, come guanti, un pile in più...
Stavamo per partire dalla casera verso la grotta, quando vedo che dal gruppetto appena arrivato dal Vallone si stacca un giovane uomo, fisico asciutto, capelli corti, sguardo basso. Senza aprire bocca si accoda a noi, e con lo zaino in spalla ci segue.
Non è che in quell’ora di camminata per arrivare in Bronchite si siano fatti chissà che discorsi, anzi. Quella strana figura se ne sta zitta tutto il tempo. Anche in grotta, quando non è turno di scavo, chi aspetta chiacchiera, si riprende dal freddo, insomma... fa qualcosa. Lui no, se ne sta zitto in disparte e guarda.
Ecco che viene il mio turno. Le mani si gelano subito, bastano poche spalate di neve e tutto il mio furore speleologico si scontra con la fredda, freddissima realtà di Bronchite.
Solo a quel punto quello si alza, si avvicina, mi fissa un poco con misto di indifferenza e biasimo e dice: - cavate bocia!-. Mi afferra la pala e comincia a scavare al posto mio, fino a quando il lavoro non sarà ultimato e Bronchite stappato.
Molto più che il freddo, un freddo pungente e profondo, poterono quelle due parole e quello sguardo... Che lezione in quelle due semplici parole!

Penso che ci sia molto di Michele in questo episodio. La cosa che mi ha colpito subito è stata quel suo carattere molto riservato, direi schivo, quel suo essere di così poche parole, e anche quelle poche magari non sempre amichevoli. Il tipico montanaro, pensavo fra me e me, imprigionato in quelli schemi mentali che ci portano a vedere con superificialità le cose...
Ma a ben vedere Michele celava un grande cuore, che lo aveva avvicinato al Soccorso in montagna al punto di impegnarsi su tutti i fronti possibili. Mi piace sottolineare che in tutto il Veneto non esiste nessun altro volontario che possiede le qualifiche tecniche per operare in grotta, in montagna e in forra. Forse allora quel “cavate, bocia!” più che un gesto di biasimo era una forma di premura verso un ragazzetto rattrapito dal freddo, un gesto fraterno che potrebbe suonare meglio come un “adesso torna pure al caldo, che qui ci penso io”.
Ed in effetti avreste dovuto vederlo col badile in mano... Ecco allora che appaiono più chiari altri segni distintivi di Michele: dovunque lo mettessi lui ci stava bene: poteva in sella ad una bicicletta giù per una montagna, in grotta, in forra, sugli sci... Tutto vissuto sempre al massimo delle possibilità, senza risparmiare nulla ad un fisico prestante e a delle mani che conoscevano bene la fatica. La fatica del lavoro, il legame con la terra, la sua terra, il peso di un sacco speleo trasportato in meandro.
Forse il vero problema con Michele era l’esatto contrario, ossia la difficoltà a mettere un freno al suo entusiasmo, alla sua iperattività: sapete bene quanto per lui le vicende legate alle operazioni subite in testa fossero una grande rottura di palle, e non tanto per il problema in sé, quanto per il fatto di dover rimanere fermo senza potersi dedicare a una corsetta, una sciata, una girata con gli amici in moutain bike...
Il caso ha voluto che ci lasciasse pochi giorni dopo l’operazione conclusiva alla testa, dopo la quale si considerava finalmente libero di tornare fare tutto quello che faceva. Ma così non è stato.

Di fronte alla morte di Michele si spalanca un grande e amarissimo senso del niente. E anche se la parola “dono” è una parola logora e che può sembrare evocare visioni semplici, semplicistiche, elusive rispetto alla tragedia di una vita spezzata, sono certo che conoscere Michele è stato per me un grande dono. Lo è senz’altro stato anche per Mario, Giovanni e tutti quelli che lo hanno visto entrare nel 2001 nel Soccorso Speleologico e che lo hanno visto crescere con il loro insegnamento. È stato un dono per Luciano, Omar, Ofelio e gli altri del Gruppo Speleologico del CAI di Feltre, che in Michele vedevano oltre che un amico un valido istruttore di speleologia e un grande protagonista delle esplorazioni in Isabella e in Valle Imperina. È stato un dono per la Stazione Alpina di Feltre, dove Michele era entrato da qualche anno. È stato un dono per tutti quelli che lo hanno consciuto nelle mille cose che lo vedevano impegnato.
C’è un’antica sapienza secondo cui il mondo si regge nelle mani dei giusti. Sono sicuro che oggi anche le forti mani di Michele reggono il mondo.

Cristiano

lunedì 24 agosto 2009

Certi sogni...

Certi sogni sono difficili da realizzare. Può essere necessario uno sforzo immenso, tante fatiche, delusioni, scontri con una realtà che non vuole diventare ciò che vorresti. E poi, nel momento in cui ti arrendi, proprio quando decidi che è finita, il sogno si realizza lasciandoti incredulo, estasiato dall’imprevedibilità di questa vita…
È proprio questo che è successo in tutta questa storia della congiunzione tra Isabella e il PE10.
Non è passato tanto tempo in fondo da quando per la prima volta avevo sentito parlare di lei, Isabella. Ricordo che ero sulle creste di Cimia, insieme con una persona speciale, e guardavo giù le pareti scoscese che precipitano nella Valle del Mis e mi chiedevo che cosa sarebbe stato se un giorno avessimo trovato l’uscita, l’ingresso basso che allora tanto stavamo cercando in quell’altra signora veneta che è la Spluga della Preta. Qui, sui Piani Eterni, un’ipotesi del genere, sembrava assurda, lontana dalla realtà quanto dai sogni. Ma accadono cose che possono sconvolgere le nostre convinzioni per sempre: erano i primi giorni di gennaio del 2007 e, dal PE10, mi trovavo a vagare insieme ad altri amici per lunghe gallerie orizzontali come non se ne sono mai viste in queste montagne, il piano paleofreatico di –550. Fu un’esplorazione sconvolgente. Qualcosa non tornava nel nostro concetto della grotta… una vocina ci sussurrava che non avevamo ancora visto niente, che tutto ciò che era stato esplorato non era altro che un insignificante pezzetto di quel ragno gigantesco che si estendeva al di sotto dei nostri piedi. E quel ragno dirigeva le sue zampe verso un luogo di bellezza superba, seppur ancora snobbato e insignificante ai nostri occhi: Isabella.

Agosto 2007. Da Pian di Cimia, saliamo attraverso un boschetto di faggi fino a un piccolo passo, il “crucol” come poi lo chiamerà il Cicca. Da quel punto la vista è magnifica, la torre della Gusela troneggia sopra la Val del Burt circondata da pareti che danno una profonda sensazione di luogo selvaggio, come se fossimo in qualche luogo sperduto del mondo. Il viaggio per arrivare fin qui è lungo, 5 ore di cammino con gli zaini pesanti, ma gli amici di Feltre dicono che hanno superato la frana terminale di quella grotta e quindi non possiamo più fare finta che qui sotto non stia succedendo niente.
La galleria iniziale di Isabella è qualcosa di difficilmente descrivibile. Non so… ma credo che gli ingressi ai grandi mondi sotterranei, soprattutto gli ingressi bassi, si assomiglino un po’ tutti, non tanto per morfologia, quanto per magia… Si sente qualcosa… Si sente che quella è la porta a un mondo enorme, percorso solo dal vento, che finalmente lì se ne esce dal su lunghissimo viaggio sotterraneo. Un fruscio potente, alla prima strettoia, un rumore che non lascia dubbi: questo è il respiro del mostro.
Già in quell’occasione la grotta ci aveva lasciato correre per chilometri di gallerie, in esplorazioni indimenticabili che non basterebbe ormai una notte intera per raccontarle. Era chiaro, Isabella e PE10 erano solo due accesi allo stesso labirinto sotterrano. Avremmo trovato la chiave, il passaggio che ci avrebbe permesso di attraversarlo quel mondo, da parte a parte? Ne ero convinto, allora lo davo per scontato. Era solo questione di tempo… due anni dicevo, forse anche meno.
Ora devo confessare che ci sono stati momenti in cui ho dubitato, fino a non crederci proprio più. Davvero...

Sabato 22 agosto 2009. Da quella prima volta in Isabella ne è passato di tempo, soprattutto in termini di ore in grotta, di punte in PE10, di notti alla Locanda del Bucaniere, di giorni passati a sognare e a discutere, di sogni e incubi notturni… E ne sono passate tante anche di persone, amici venuti a godere con noi di queste esplorazioni, speleo che hanno dato tanto per realizzare questo sogno.
Ora siamo in quattro, Io, Marco, Omar, e Mauro. Ma potremmo essere anche Ciccio, Cristiano, Paolo, Luca, Andrea, e tanti altri nomi, e il destino non cambierebbe. Vogliamo questa giunzione a tutti i costi, siamo determinati e convinti che questa sarà la volta definitiva.
Dopo le esplorazioni degli anni scorsi, Isabella è diventata una grotta fonda ben 300 metri. La via che porta al punto più profondo è uno scomodo meandro attivo, un “ringiovanimento”, uno stupido scolo, scavato dall’acqua, che buca i livelli di gallerie freatiche e porta sempre più giù nella montagna. L’idea è quella che prima o poi quell’insignificante torrentello deve aver incrociato le grandi e labirintiche gallerie sottostanti del PE10. La strategia è la stessa che venne usata nella storica giunzione del Kayam tra Fighierà e Corchia: fregarsene dello stretto, abbandonare le vie fossili, troppo franose e indecifrabili, e scendere, scendere, scendere, fino a giuntare.
Avevamo percorso quella via la prima volta con Fabio e Michele, poi con Jean Pierre e Andrea, poi con Marco B ed altri, infine io da solo con Armando giusto un anno fa. Era stata quella una punta dura, in due, continuando a guardare l’altimetro, convinti anche allora che ce l’avremmo fatta. Ormai c’eravamo, le gallerie dovevano essere lì. Ma non ce n’era traccia ed eravamo tornati indietro stanchi morti dopo aver continuato a seguire il meandro inseguendo l’aria verso il basso… forse troppo in basso…
Poi i fatti di poche settimane fa: dal PE10 si esplorano improvvisamente altri chilometri di gallerie, oltre l’Isola che non c’è. Guardando il rilievo, proprio in zona Isabella, si estende ora un reticolo impressionante. Non è possibile che le due grotte non si tocchino. In tanti pensiamo “È fatta”, ed è solo questione di giorni ormai.
Questione di ore, mentre scendiamo lungo i pozzi della Via dei Turpi, inseguendo il vento, e giungiamo alla zona esplorata con Armando l’anno scorso. Lungo il percorso è rimasto da esplorare un grande pozzo caratterizzato da un bell’eco, proprio come alcuni camini che una settimana fa avevamo visto con Leo nel PE10.
Armo e scendo in un bellissimo fusoide profondo una trentina di metri, denominato poi Pozzo dello Scheletro (su un terrazzino c’è uno scheletrino di martora, e che ci farà là a –300?). Già prima di toccare il fondo vedo l’imbocco di una bella forra e penso che ormai ci siamo. Arriva anche Marco e imbocchiamo il condotto. L’acqua si getta in un altro ringiovanimento, impraticabile, mentre avanzando nella forra ad un certo punto vedo delle impronte. Dopo il primo momento di eccitazione, ragiono. Mi guardo intorno, questo posto lo riconosco, è la forra che abbiamo raggiunto io e Armando l’anno scorso scendendo due pozzetti fossili. Calma… siamo ancora in Isabella. Anzi delusione, il nuovo pozzo porta nello stesso posto visto l’anno scorso. Penso… Non mi sembra di ricordare altri bivi o finestre, le possibilità esplorative ormai sono pochissime. Avanziamo allora nella forra, seguendo l’aria, fino a un passaggio allagato, limite estremo della scorsa esplorazione… Non so che fare, sono indeciso. So che se mi butto dentro quell’acqua sarà la mia ultima possibilità e poi dovrò uscire per non congelarmi. Ma se il PE10 fosse proprio al di là? Penso alla strada dietro di me e non ricordo altre vie possibili… l’aria va di qui. Devo andare.
Mi butto nell’acqua fredda, e avanzo per cinque, dieci, venti metri, nell’acqua. Porca troia, la volta non si vuole alzare. Sento il freddo entrare dappertutto, ma non ho paura, sono determinato ad andare avanti. Finalmente sbuco in una gallerietta un po’ più grande, non saluto neppure gli altri dall’altra parte e comincio a correre avanti. Dopo cento metri, ancora nessuna traccia di giunzione. Maledetta, neanche questo ti basta… C’è una strettoia fetente. Provo a passarla… non riesco, dovrei togliere l’imbrago. Sono solo, non mi sembra il caso di rischiare di rimanere incastrato… Poi affacciandomi sento il vento soffiare… No, non posso fermarmi. Tolgo l’imbrago e spingo fino a passare. Ancora condotte, l’acqua sparisce in una fessura impraticabile. Avanzo lungo cunicoli fangosi, rotolando e scivolando nella palta che ormai mi ricopre totalmente. Che posto di merda… Bastarda!Bastarda! Sento sfumare il sogno. Sento che questo è troppo, che non ha senso. Che quello che rincorriamo è una stupida impresa senza senso che non vale tutto questo soffrire. Penso a quanto tempo ho dedicato a questo sogno, penso alle fatiche passate, agli sforzi, alle notti insonni. Penso a quante volte ho visto sfumarmi la giunzione tra le mani. Che altro vuoi bastarda? Che mi ammazzi per un desiderio? Non ti basta tutto questo? Ho un attimo di sconforto vero. Mi rendo conto che non ci sarà nessuna giunzione. È finita. Io non gioco più.
Rifaccio tutto il percorso a ritroso buttandomi in acqua fino a raggiungere gli altri. Gli dico che peggio di così non poteva andare. Sono abbattuti anche loro. Difficile credere che ci sia ancora qualche speranza…
Io sono fradicio, devo uscire, e Mauro mi accompagnerà. Mi sento ancora più triste quando Marco mi parla di disarmo… È proprio finita…
Guardo lui e Omar e dico: «Ok, però invece di risalire il Pozzo dello Scheletro, tornate per la via che abbiamo fatto io e Armando e guardate bene qualsiasi cunicoletto, buco, strettoia di merda che trovate. Ricordo che nella sala alla base della corda c’era qualcosa. Non ci credo più, ma potrebbe essere l’ultima possibilità».

Ore 02 di domenica 23 agosto. Sto sognando belle signorine, quando la voce di mauretto, mi sveglia. «Sono le due e gli altri non sono ancora usciti… sono un po’ preoccupato… Boia can!»
Di fronte il portale di Isabella e un cielo stellato. Un po’ infastidito per il sogno interrotto rispondo: « Strano, comunque non mi preoccuperei ancora, in fondo noi abbiamo corso e sono passate solo tre ore da quando siamo usciti…»
«E se avessero fatto la giunzione? Boia can!?»
«Non dire cazzate… è rimasta una probabilità su un milione, col culo che abbiamo avuto fino a adesso…» Mi stupisco del fatto che dicendolo rinasce una flebile speranza anche in me.
«Senti io entro in grotta e gli vado in contro, », mi dice Mauro.
«Ma… aspettiamo ancora una mezz’oretta, tanto è inutile preoccuparsi» Non faccio in tempo a dirlo che lo vedo sparire.
Sono di nuovo solo e ripenso a tutta questa storia. A quanto sarebbe bello che ci fosse il colpo di scena finale. Penso che è impossibile. In quell’istante sento delle voci da dentro la grotta. Parlano forte, come se fossero eccitati.
In un attimo Marco è di fronte a me…
«È fatta, abbiamo fatto la giunzione!»
«Dai non prendermi per il culo, non ci credo!»
«Cesco, non ci credo neanche io! Ma è fatta, siamo entrati in PE10, proprio dal cunicoletto alla base della corda. Circa venti metri strisciando e abbiamo cominciato a trovare impronte…»
Mi sembra assurdo. Quell’ultima possibilità… vedo la faccia di Omar, è tutto vero…
Ancora increduli cominciamo a urlare, a darci pacche sulle spalle.
Sento Isabella che ride… sempre più forte… e noi con lei. Mentre l’eco della nostra gioia si ripercuote per le pareti della Val Falcina.

A volte sembra proprio che i sogni siano irrealizzabili, a volte non si riesce più a crederci, ma quando meno te lo aspetti si materializzano davanti ai tuoi occhi. E allora sei talmente incredulo che non sai che fare, non sai che dire, solo ti ritrovi con qualche lacrima che ti segna il viso e una bella fiaba da raccontare.

Francesco


Mauro, Omar e Marco dopo la giunzione


L'ingresso di Grotta Isabella.


A passo Cimia

lunedì 17 agosto 2009

Punti di domanda

Penso che non ci siano molte cose da aggiungere riguardo ai risultati pazzeschi ottenuti quest’anno in quello che da qualche tempo stiamo cominciando a chiamare “Complesso dei Piani Eterni”. In genere vengono chiamati così i reticoli sotterranei per lo più ottenuti congiungendo più abissi . Qui invece l’unico collegamento noto è con il Vincè, poco distante dal PE10, mentre il collegamento nelle zone più remote con la grotta Isabella, molto più che teorico, fatica ad arrivare.
A poco sono serviti i tecnologici tracciamenti di quest’anno con il radiogoniometro. A poco sono servite le calate in vecchi abissi ghiacciati, sperando che l’effetto serra abbia portato quell’unico risultato che uno speleologo può gradire.
Si continua quindi procedere, senza battute d’arresto, ripercorrendo infinite volte lo stesso percorso dall’ingresso del PE10, fino ad intercettare quella grotta orizzontale più antica e sempre più misteriosa.
Ma che per ora è raggiungibile solo da quell’ ingresso trovato circa vent’anni fa.
Difficile descrivere quel poco che ho visto dei nuovi ambienti scoperti, talmente inconsueti da dare quasi un senso di alienazione.
Ma dove cavolo siamo finiti?
Una lunga galleria inclinata, che ad con un occhio più attento scopriamo essere un intreccio di gallerie fossili, tagliata da una sequenza di forre quasi parallele. Il nuovo si intreccia con l’antico, in un rinnovarsi continuo.
Capiremo mai il senso e la destinazione di questo reticolo di acque che scorrono da tutte le parti? E dove ci condurranno nei prossimi anni la vecchie gallerie fossili?
La strana galleria Moby Dick, il rombo dell’acqua delle forre, le alte colonne della sala del Teatro, le pisoliti, le eccentriche e le vele deformate dal forte vento che sembrano puntare il dito verso quella forra e quella galleria fossile.. cosa significano?
E il grande pozzo dalle pareti lisce e dal forte eco, di cui non siamo riusciti a stimare l’altezza con le nostre luci? L’aria che lentamente lo risale conosce bene la sua personale strada verso l’esterno. Uscirà da qualche ingresso ben nascosto.. Filtrerà attraverso fratture e frane aggirando le vie paralizzate dal ghiaccio.. O magari è quel pozzo trovato in Isabella e non ancora sceso.. chissà?
In un dedalo fossile i nuovi meandri sembrano dita che si allungano di nuovo a cercare Isabella.
Chi ha dato un nome femminile a questa grotta quando era neonata aveva intuito che da grande avrebbe avuto un carattere un po’ complesso e difficile?
Con il telemetro rotto nella sacchetta, abbiamo srotolato al freddo la cordella metrica, e tentato con la matita sui fogli umidi e stropicciati di dare una forma comprensibile agli spazi.. e soprattutto disegnato tante, tante volte quel simbolo: ?

Giulia

mercoledì 12 agosto 2009

I bimbi sperduti dei Piani Eterni

Che il complesso dei Piani Eterni fosse grande e affascinante lo si sapeva… ma che fosse anche così immenso da diventare una delle più lunghe grotte d’Italia pochi se l’erano immaginato.
Ora, guardando le poligonali che si incrociano 800 metri al di sotto della piana di Erera, si può veramente comprendere quanto ci sarà ancora da fare nei prossimi anni, quale infinità di pozzi e gallerie avremo da esplorare fino alle risorgenze. La grotta sembra ora un grande ragno che muove le sue zampe ognuna sotto a una diversa conca glaciocarsica aprendo possibilità esplorative un tempo inimmaginabili.

Vent’anni fa veniva scoperto il primo ingresso del sistema, il PE10. Dieci anni fa anch’io per la prima volta mi ritrovavo ad affacciarmi su quel pozzo nero per rimanerne stregato. Da allora tanti campi, tante esplorazioni, anche difficili, in posti che ora mi sembrano ridicoli rispetto a tutto quello che ci aspettava “oltre”. Poi la magia esplosiva delle esplorazioni dell’inverno del 2007. Scendendo il Pozzo Halloween avevo avuto la pessima idea di dire che da lì in poi mi sarebbe piaciuto passeggiare un po’ su gallerie invece che scendere pozzi… Azz se sono stato accontentato! 8 km in tre anni, in un piano freatico che sembra più un labirinto, un mondo a sé stante, scollegato da tutto quello che si conosceva prima.
Ed ora siamo qui. Di nuovo sulla soglia del buio, in quattro, io, Andrea compagno delle migliori avventure, Leo e Gianpaolo arrivati fin qui dalla Toscana per vedere anche loro coi propri occhi. Ciccio e Jonathan ci hanno riversato un entusiasmo impressionante dopo la loro punta di quasi una settimana in cui hanno rilevato la bellezza di 2200 metri! D’altra parte non c’era niente di più naturale, un ramo che si chiama “l’Isola che non c’è” doveva portare prima o poi oltre la soglia di un nuovo mondo irreale, sempre più immenso del conosciuto.
Dalla Locanda del Bucaniere attraversiamo Neverland, il bypass, fino a giungere all’impressionante porta 54, da lì giù in un universo obliquo di condotte ellittiche. Quattro ore per arrivare al limite esplorativo precedente sul Pozzo “Era Ora”.
Ma a noi non interessa la profondità, non interessano i record, volgiamo spaziare, vagare, nel cuore dei Piani Eterni, sognando di arrivare a solleticare le fondamenta della Casera Brendol, dove i nostri amici ci pensano nell’attesa del nostro ritorno alla luce. Così traversiamo tutti i pozzi che troviamo, entrando in una galleria che chiamiamo “dei Bimbi Sperduti”. Già, perché è così che ci sentiamo. Bambini che giocano agli esploratori, ad anni luce da tutto quello che ci ha abituato questo mondo, in un universo nostro, in un cielo di costellazioni fatte da gallerie, pozzi, torrenti, sale concrezionate. Qualcosa di indescrivibile, pure difficile, inospitale, ma sempre ipnotizzante fino a farti desiderare di non fermarti mai, di non tornare più indietro.
E invece le ore passano veloci ed arriva l’ora di tornare, siamo ormai a 850 metri di profondità, chissà dove sperduti al di sotto delle Piazzole, dentro gallerie che puntano dritte alla risorgenza del Cavron, ancora 400 metri più in basso e svariati chilometri oltre.
Ci riposiamo nei caldi sacchi a pelo della locanda e poi ripartiamo questa volta (l’ennesima volta…) alla ricerca della giunzione con Isabella. La settimana scorsa Ciccio e gli altri hanno individuato una forra attiva molto simile a quella dove mi ero fermato a –340 in Isabella l’anno scorso. Dobbiamo scoprire se è la stessa… con il sogno, non tanto velato, di trovare la corda che ci porterebbe a uscire dall’altra parte della montagna.
Risaliamo l’acqua in ambienti molto belli, effettivamente molto simili a quelli della Via dei Turpi, ma sento che la grotta non è ancora pronta a farci un regalo come la giunzione. Infatti dopo un saltino che arrampichiamo solo io e Leo ci troviamo infognati in strettoie e brutte zone di frana. Stiamo per abbandonare tutto, ma poi Leo si infila in un laminatoio improbabile e sparisce. Aspetto una mezz’ora e poi mi infilo anch’io. Lo trovo tutto trafelato che mi dice che la grotta va alla grande. Infatti ben presto ci troviamo a incrociare una bella galleria. Lui va a destra, io a sinistra, soli in esplorazione… Corro per circa 200 metri, attraversando con un salto un profonda forra attiva. A un certo punto la galleria si apre su un salone dove comincio a non credere più ai miei occhi: una fila di splendide colonne di concrezione, alte più di due metri, troneggia al di sopra di una colata cristallina. Sono euforico e mi viene naturale continuare a urlare “grazie, grazie, grotta bastarda, grazie!” mentre sento che lei mi dice “ pivelli, che pensate che io sia solo quello che conoscete? Io sono un mondo che neppure vi immaginate”. Tutto questo, mentre sto correndo per centinaia di metri lungo una forra che non vuole finire. Ma dopo un’oretta comincio a essere sfinito e mi volgo indietro fino al bivio dove incontro nuovamente Leo. Vedo che anche lui è strano, anche lui ha vagato da solo dall’altra parte senza trovarne una fine. Ormai il nostro tempo è scaduto, e qui è tutto troppo grande per noi, ora. Dobbiamo tornare indietro…
Penso che questa volta la grotta ci ha davvero sbeffeggiato, seppur in modo affettuoso, come un grande maestro che fa capire al suo allievo che la presunzione di sapere è il più grande ostacolo alla verità. Cosa c’è la sotto oltre la soglia dei nostri ricordi?
L’unica cosa che mi sento di dire ora è “non lo so”. Ora posso solo pensare agli altri quattro amici che adesso sono laggiù (Giulia, Tebe, Andrea e Sara) e aspettare che un altro pezzo del labirinto si sveli ai loro occhi. Un mondo che esiste solo grazie a questi bimbi sperduti che non vogliono smettere di sognare.

Francesco


Nel regno di Gorm


Gallerie freatiche a -750


Aragonite Underground


Grandi condotte oltre la Porta 54


Verso le Gallerie dei Bimbi Sperduti


Bimbi sperduti a -770

venerdì 7 agosto 2009

BOIA CAN LADRO CHE PUNTA!

È qualche notte che sogno gallerie! Non sto scherzando! Almeno un paio di notti che sogno di gallerie, larghe, grandi, con aria, gallerie che vanno a monte, gallerie che vanno a valle …
Che siano i postumi della punta della settimana scorsa alla Locanda del Bucaniere quando eravamo in preda al delirio esplorativo?
Che non sia ancora riuscito a smaltire la sbornia?
Boh!
Se continua così mi sa che dovrò tornare a fare una seduta di disintossicazione al labirinto franoso o alla costanza!

Però. Boia can ladro che punta!

Sono stati sei giorni in grotta incredibili ed indimenticabili: siamo entrati lunedì a mezzogiorno con i nostri sacchi carichi di materiale e cibo e siamo usciti sabato alle 5 di pomeriggio stracarichi di emozioni.
Ci siamo portati fuori qualcosa come più di due chilometri di rilievo, circa tre chilometri di esplorato, una gran quantità di punti interrogativi, mille incertezze e una certezza: quella di essere entrati sempre più nel cuore dei Piani Eterni. Sicuri solo di aver messo il naso in un nuovo mondo sotterraneo: il regno di Gorm (il nome era una promessa ai piccoli Mauro e Alvise).
Tornando fuori, strisciando col sacco lungo i rami a Nord Ovest pensavo a come quest’avventura non sia altro che un enorme puzzle in cui ognuno degli esploratori ha messo un suo tassello. Tra una strettoia e l’altra provavo e riprovavo a ripercorrere a ritroso la storia di questi rami: chi ha trovato il passaggio per Gorm , chi il by pass per raggiungerlo, chi l’isola che non c’è, ma prima ancora le gallerie dei cinghiali, l’halloween, il casello, il passaggio allagato alla fine delle zapeghe, e via via indietro, fino a chi tanti anni fa ha deciso di seguire l’aria delle gallerie a Nord Ovest e prima ancora di chi ha avuto la fortuna di scoprire ed esplorare il PE10.
Tante, tante persone, tante storie con un unico sogno da seguire, quello di arrivare sempre più vicini al cuore dei Piani Eterni.
Poi ancora emozione ed euforia, questa volta a casa, davanti al pc per la restituzione dei del rilievo, che ci ha fatto capire che ci siamo cacciati veramente in un bel casino! Sotto le piazzole, verso la piana di Erera, all’inseguimento del magico collettore che porta al lago della Stua, e poi sù, verso Cimia, in un mondo di roccia e mughi che custodisce gelosamente i suoi segreti.
E adesso sono dentro per la “punta geologica” Francesco, Andrea, Leo, Gian ... e chissà che razza di casino stanno combinando lì sotto!
In attesa delle loro news io continuo a sognare!

Ma alla fine ‘sti rami nuovi da dove sono saltati fuori?
Fortuna? Esperienza? Intuizione? Flussi energetici della “lente gravitazionale”? Boh?
Io mi sto convincendo sempre di più che in tutto questo qualcuno c’ha messo lo zampino! Mi viene da pensare che qualcuno abbia parlato in segreto con la grotta e chissà cosa si sono detti.
Ma, in verità, io qualche fondato sospetto ce l’ho!

Beh! Che dire?

Un grazie enorme alla splendida banda di vecchi e nuovi esploratori dei PE che era giù lì con me: Marco U, Jonathan, Mauro (boijacanancaqueo!), Simone e Anna.
Un grazie a tutti quelli che hanno dato una mano a organizzare e caricare il campo.
Come sempre poi un grazie specialissimo va a Michela, Alvise e Mauro che ogni tanto mi mollano a razzolare sotto terra per qualche giorno!
E naturalmente un grazie speciale a tutti gli eternauti.

Boia Can Ladro che punta!

Ciccio

Su questa esplorazione è stato pubblicato anche questo articolo:
http://ricerca.gelocal.it/corrierealpi/archivio/corrierealpi/2009/08/05/BF3PO_BF301.html








giovedì 30 luglio 2009

L'avventura di Su Eni 'e Istettai

E’ da un mese che mi preparo a questo momento: le nuotate in piscina in pausa pranzo, un paio di tuffi con la muta in torrente. Non sono del tutto convinta di poter superare senza traumi il temuto sifone che, a circa – 400 m dalla superficie, apre le porte alle esplorazioni in Su Eni ‘e Istettai, la grotta più profonda della Sardegna e soprattutto uno degli accessi al collettore sotterraneo che raccoglie le acque del Supramonte. L’euforia dei nostri amici sardi è contagiosa, e la notizia che il sifone si è accorciato da 6 m iniziali, a 2-3 m attuali mi lascia inizialmente perplessa, ma mi impedisce di trovare ulteriori scuse per starmene fuori.

Ci caliamo nello stretto ingresso verticale, salutanto il tasso secolare (Eni) che qui affonda le radici e dà nome alla grotta. Lo rivedremo tra cinque giorni; lancio un ultimo sguardo al cielo azzurro e alla selvaggia valle di Istettai e comincio a scendere. Qualche minuto di disagio in strette fessure, poi cominciano le calate in pozzi che mi fanno sentire a casa, in qualche grotta veneta: larghi pozzi comodi con pareti bianche. Il piacere di lasciare scorrere la corda tra le mani viene presto interrotto strettoie dai nomi eloquenti..sacrilegio.. violazione di domicilio... Man mano che vinco l’attrito del sacco balena che mi è capitato in sorte penso che con questa serie di fessure siamo già ben sigillati dal mondo esterno.. e poi ci sarà il sifone.. comincia salirmi un po’ di inquietudine, sento la fessura dell’ingresso lontanissima.
Finalmente finiscono le maledette strettoie, comincia il capitolo “neoprene”. Dal campo Bintungas in poi infatti comincia una serie di condotte allagate. Indossiamo le mute, e si riparte. Io in dotazione ho la mia due pezzi da 5 mm, perfetta nei freddi torrenti veneti, ma insopportabile qua sotto! Dopo circa un’ora di progressione vedo gli altri appoggiare a terra i sacchi, e le maschere subacquee appoggiate a lato … siamo davanti al sifone.

L’acqua ai nostri piedi scompare sotto il pavimento che si abbassa, in un blu silenzioso. Carla si tuffa senza indugi, sentiamo lo sciabordio dell’acqua dentro e al di là del passaggio, e poco dopo intravvediamo la sua luce dall’altra parte. Penso che davvero non sono più di tre metri, se ci ha messo così poco e si vede la luce. Non sembra troppo pericoloso.. il mio lato razionale si tranquillizza, ma dopo qualche istante il cuore comincia a battere all’impazzata.. nessun ragionamento riesce a frenare l’emozione e dopo qualche minuto il mio viso è bianco e inespressivo come una statua. Nel frattempo sono passati quasi tutti dall’altra parte, rimango solo io, poi Cesco e Vitto passeranno i sacchi.. lascio cavallerescamente passare avanti i sacchi, pur di guadagnare qualche minuto.. mi concentro.. niente, l’agitazione non passa. Metto la maschera e immergo la testa.. come previsto non si vede nulla, l’acqua ormai è un caffelatte servito alla fresca temperatura di 10°. Decido di entrare anche se non sono per niente lucida, i ragazzi stanno prendendo freddo e sicuramente sta già per uscire qualche bestemmia. 3, 2, 1, e dentro.. tutto marrone.. i sassi del fondale.. i led di Vitto.. sono fuori!! Mi esce un urlo che purtroppo viene immortalato dalla videocamera di Vittorio.. è fatta!! E’ filato incredibilmente liscio.. ed è come un regalo sapere che in un’oretta saremo al campo.

Quando Vittorio superò le prime volte il sifone nel 2003 questo era lungo quasi 6 metri.. armato di trapano ha allargato, spesso in solitaria, i laminatoi su cui ora sto strisciando, e faccio fatica a capire le motivazioni che lo hanno spinto a intestardirsi in tante apnee solitarie e nel lavoro minuzioso in questi stretti passaggi.. finché non lo sento: il canto delle sirene che ha ammaliato l’esploratore.. il forte rombo del torrente che scorre oltre questi ultimi ostacoli, il tanto sognato collettore.
Un ultimo passaggio stretto e siamo a bagno nell’acqua, che negandosi agli aridi paesaggi che ci sovrastano, scivola rapidamente qui sotto e in altri sconosciuti percorsi fino a sfociare, dopo 20 km in linea d’aria, alla sorgente Su Gologone.

Al campo, nel salone R. Mulas, è una gioia abbandonare a terra i sacchi, levare le mute e indossare indumenti asciutti. Prepariamo la nostra tenda da ospiti con una decina di teli termici, e poi via con l’alta cucina.. le due confezioni di tortellini che durante il tragitto hanno già ripreso la loro idratazione, cucinati nella gavetta in alluminio talmente deformata che non sta in equilibrio sul fornellino. Si fa fatica a dissimulare l’invidia quando i nostri amici sardi tirano fuori la batteria di pentole in acciaio inox, i risotti, le spianatine, salsicce, le frittatine fatte in casa da Salvatore e messe accuratamente sotto vuoto.. il nostro sguardo sulle pietanze è dapprima fugace, poi diventa una supplica silenziosa, prontamente assecondata dai nostri ospitali amici.
Ci addormentiamo stanchi e felici, cullati dal rumore del torrente.



Sempre che si possa parlare in termini di giornate quando i bioritmi cominciano ad allentarsi, il giorno dopo ci avventuriamo nell’esplorazione. L’amara verità è che il grande salone dove ci troviamo è una breve parentesi tra due ciclopiche frane: equilibri di macigni salgono fino alla volta, a monte e a valle.
E qui comincia un nuovo folle capitolo: la frana a valle. Ci infiliamo tra i massi, i primi passaggi sono abbastanza stretti e ti obbligano a fare avvitamenti e contorsioni (e infatti l’hanno chiamata Cirque du soleil questa frana bastarda!). Mi dicono che si uscirà dalla frana in circa un ora.. penso che se la progressione è tutta così esco coi nervi a pezzi, ma poi va un po’ meglio, gli spazi tra un macigno e l’altro si fanno più ampi. Evito di pensare ai giochi di equilibrio che trattengono tutte queste masse, rabbrividisco pensando al lavoro fatto col levarino per spostare i blocchi “di troppo”.

Se non bastavano le strettoie e il sifone a sigillarti per bene dal mondo esterno, la frana lo fa definitivamente. Rimetti i piedi e il corpo a mollo nell’acqua e, ormai rassegnato, hai anche smesso di pensare a stare attento a non farti male. Qui non ci sono comode gallerie, è sempre un alternarsi di caos di blocchi, laghi, con scorci anche molto belli con colate e cascate spumeggianti. E’ una bella grotta, ma te la devi guadagnare ad ogni passo. Quasi due ore e siamo alla frana terminale, quella ancora da forzare. Qui la squadra veneta decide di rientrare e dedicarsi a qualche potenziale risalita vista lungo il percorso, la squadra sarda prepara levarino, trapano e incoscienza e scompare nei passaggi.

Siamo al campo, le undici di sera. Accendiamo il fornello. Sulla via del ritorno salendo per un ripido scivolo Francesco ha trovato una bella sala con un grande lago, ma senza prosecuzioni. Omar si è inerpicato su una colata e ha trovato un altro ambiente “instabile” prontamente abbandonato. La squadra sarda non è ancora rientrata e mentre beviamo il the caldo li pensiamo fermi al freddo con Vittorio che si fa strada a colpi di trapano, mazza, e coraggiose leve. Penso che veramente non esiste nessun ostacolo che possa mettere un limite al loro coraggio, che sono mentalmente su un altro livello.. da cui mi sento lontanissima.
Chissà se ce la fanno a passare la frana.. Vittorio era molto fiducioso. Mi infilo nel sacco a pelo.

Mi sveglio.. sono tornati! Sono circa le tre, hanno freddo fin dentro le ossa e sono stanchi.. ma ce l’hanno fatta! La frana è superata! Carla però ha uno sguardo un po’ amareggiato.. mi racconta che la frana è superata, ma che dopo un centinaio di metri c’è un laminatoio sifonante. Anche Massimo, Salvatore e Vittorio sono un po’ delusi … che l’avventura della rincorsa del grande fiume verso valle sia finita? Ormai gli ostacoli si sono accumulati in una somma che scoraggia. Ma poi, evitando l’accecante led guardo meglio lo sguardo di Vittorio.. la delusione è per non aver trovato oggi il risultato sperato, e sotto la stanchezza di una giornata vissuta a pieno vedo lo sguardo brillare.. allora capisco che questo per lui è solo l’ostacolo successivo, l’ennesima sfida che non rifiuterà, e con la mente è già steso con la pancia nell’acqua del laminatoio, a studiare il prossimo passaggio...

Giulia

Mentre pubblico questo post vengo a sapere da Carla che il prossimo week end tornano a esplorare la frana terminale.. buona fortuna e soprattutto grazie per averci guidato in questo viaggio incredibile!
Partecipanti: Carla, Vittorio, Massimo, Salvatore, Francesco, Omar, Giulio, Giulia

Foto: Vittorio Crobu

Altre notizie su questa esplorazione e su ASProS:

www.aspros.it
www.scintilena.com/notizie-dai-campo-interno-in-istettai/07/14/
http://labisso.blogspot.com/2009/07/101- ore-nel-ventre-del-supramonte.html

lunedì 6 luglio 2009

Solo ciò che con te porterai



Scavare, scavare, scavare. Questo ci aspettava l’ultimo fine settimana. Aprire un varco nella barriera di neve del PE 10. E’ strano come un mantello così bianco possa sbarrare la strada verso quei luoghi oscuri, come se la provvidenza venisse ad occuparsi di noi piccoli speleo, a risvegliare nell’ intimo nostro l’archetipa lotta tra bene e male, a suggerirci di non oltrepassare il candido cancello che l’Inverno ha costruito. Ma anche in una visione panteistica, le tenebre acquistano un significato più profondo: solo conoscendole, esplorandone ogni più piccolo anfratto, si può scorgere la luce tanto cercata.
E così, il venerdì sera ci troviamo in casera, con del buon vino, ad aspettare il giorno successivo, a respirare di nuovo l’atmosfera del campo. La luna piena ci dà il benvenuto, mostrandoci i Piani Eterni in una notte limpida e magica, una notte senza tempo, intrappolata nelle previsioni di piogge e temporali. Persino il classico scampanellio delle mucche è rimasto a valle.
E’ solo silenzio… dove non trovano posto sogni e riflessioni, perché la sottile voce dei monti ti parla al cuore. O forse a qualcos’altro…
Ogni tanto il fruscio del vento tra l’erba scatena un’onda di ricordi. Due anni eppure quante emozioni mi vengono a galla, quante ansie, speranze.. quanti insegnamenti. Penso a coloro che vent’anni orsono cercarono in quelle montagne, e trovarono quelle grotte. Adesso son lì con me.
E nei loro occhi si percepisce le saggezza che solo l’empatia con quei luoghi può creare, un segreto custodito là dove la mente vacilla.
L’indomani ci aspetta una sorpresa: l’ingresso è aperto! La neve non ostruisce più il passaggio, solo una lastra vicina al frazionamento prima della serie di traversini è un po’ fastidiosa, ma per l’inizio del campo sarà sciolta. Decidiamo quindi di disarmare il Vincè; prendiamo, per scendere il primo pozzo, la corda d’ingresso del PE 10, in quanto quella del Vincè stesso, che era in un magazzino di rocce lì vicino, è stata trafugata.
Percorrendo il sentiero verso l’ingresso il Cica racconta a me ed Anna del fondo del PE: sembra di essere lì, in quei profondissimi luoghi, ora irraggiungibili, con lui. In grotta il Capp ci racconta di quel giorno, che cambierà la vita di molti uomini, in cui due squadre trovarono nello stesso momento l’ingresso al PE 10 e al Vincè. Nel 1989. Da quel giorno le grotta è diventata un complesso, grande, profondo e difficile. Una vita di storie ed avventure.
Come quando esplorarono per la prima volta il “Diaolin”, il passaggio che siamo percorrendo in questo momento con dei sacchi e pontoniere alle braccia e alle gambe, perché si può passare solo carponi e ci son 10 metri con 40 cm d’acqua sul fondo. Una volta lo facevano solamente con la tuta.. e poi ore di esplorazione bagnati… mi spiegano che “diaolin” è quella sensazione di irrigidimento delle mani e piedi dovuto al troppo freddo, o qualcosa del genere: io credo che quel nome abbia anche a che fare con le bestemmie che risuonarono e ancora risuonano in quel passaggio.
Tutto questo mi porta a riflettere, a rimettere in discussione tante cose, tanti momenti. L’estate di due anni fa, quando scesi la prima volta al bivacco a -450, credetti di capire cos’erano le difficoltà di una grotta.
Quando l’estate scorsa durante la mia prima punta alla locanda aspettavo bagnato e stanco con un freddo cane Jean e Romagna che armavano dei saltini nella parte terminale della Forra dei Poeti, credetti di capire cosa significa sopportare il freddo. E al ritorno, verso l’uscita, arrancando disintegrato dietro i miei compagni che mi aspettavano di continuo, ho pensato di conoscere la fatica. Ma cosa conosco in realtà? Nulla. Ci sono storie, in quei posti, che ti fanno venire i brividi, ti senti tanto piccolo e capisci che la speleologia inizia dove muoiono le tue certezze.
Che le esperienze che provi laggiù mostrano ciò che hai dentro, plasmate dal potere creativo della tua coscienza che parla di millenni passati, fissati nell’oblio dell’inconscio.
Mi torna in mente la battuta di un vecchio film:
“cosa troverò laggiù maestro?”
“solo ciò che con te porterai”.

Io, Capp ed Anna usciamo per primi dopo aver disarmato al di là del Daiolin; Marco U, il Tebe e Sergio disarmano quasi tutto il resto di grotta. Sergio porta in superficie un sacco con un bidone del diametro maggiore del suo girovita, e mi spiace perdermi le sue imprecazioni nelle zone strette dove il sacco si incastrava… all’uscita ci attendono fulmini e pioggia, e fatichiamo a trovare la strada nella notte, stavolta molto nera.
In casera attendiamo il Piroscafo che salito sabato ha fatto un giro in PE 10 con due amici, finchè una bottiglia di prugna accompagna le nostre menti in un meritato riposo…

Jonathan

giovedì 28 maggio 2009

Aspiranti Speleologi Crescono

Il nostro ex corsista Massimilano ispirato dalla sua prima discesa in Spluga della Preta ci racconta com'è andata ..

Si è conclusa con successo la spedizione organizzata da Francesco e Mauro atta a testare e a mettere a dura prova le capacità tecniche e la preparazione fisica maturate finora dai giovani speleoaspiranti freschi freschi di corso. La risposta degli EX corsisti è stata all'altezza delle più elevate aspettative, pronta, sicura ed efficiente. Pochi i coraggiosi che hanno aderito all'iniziativa, i più, timorosi, hanno accampato ogni genere di fantasiose scuse pur di rimandare (solo rimandare mi raccomando!) l'appuntamento con L'Abisso. Ma i prodi che si sono presentati all'incontro ne hanno avuto in cambio la gloria eterna, un posto assicurato nell'Olimpo della speleologia e una grandissima soddisfazione!
Il team di intrepidi era composto da: due speleologi veri, uno dei quali però era appena tornato dal Messico con una sospetta influenza dei maiali, una giovane coppia di sposini in cerca di avventure, una geologa volonterosa e una intrusa un po' logorroica. Insomma, non si poteva comporre niente di meglio nemmeno pianificandolo a tavolino.
Il destino avverso ha però subito cercato di minare il cammino dei nostri eroi, ed alla base del primo pozzo abbiamo perso purtroppo Francesco, il quale, sia per non contaminare il microclima della grotta causando una moria di pipistrelli, sia per non essere la prima vittima italiana dell'influenza A, non se l'è sentita giustamente di continuare oltre. E' stato già bravissimo ad accompagnarci fin là in quello stato e a risalire da solo. Grazie mille per questo Cesco!


raggio di luce che attraversa il 131


Avendo il fattaccio alterato inesorabilmente l'equilibrio perfetto della nostra squadra di audaci, macchina impeccabile dove ogni pedina giocava un ruolo fondamentale al suo funzionamento, Mauro, il più esperto rimasto fra noi ha dovuto imporre l'arresto una volta giunti alla partenza dell'88. Nonostante il vivace coro di proteste alzatosi fra gli EX corsisti, i quali avrebbero voluto e potuto continuare fino alla valle dell'Adige, il gruppone ha dovuto dare atto alla sua guida che, sia per i ritardi accumulati, sia perchè la Lea, che non l'aveva mai smessa di cantare e di parlare iniziava a diventare un pò pesante, forse sarebbe stato più saggio iniziare la nostra lenta risalita verso l'agognato cielo. Per le 19 eravamo tutti fuori, sani, salvi, felici e magari con una certa voglia di andare un pò più in là la prossima volta...Preta mi sa che ci sei rimasta nel cuore...

Grazie a tutti Francesco Mauro Candida Alice Lea e al gentilissimo Gibi per l'ospitalità.

Massimiliano




il Leader della spedizione

mercoledì 6 maggio 2009

Corsi e ricorsi

Finito! Il corso di introduzione alla speleologia è finito!
A dire la verità un po’ in fondo mi dispiace… È così difficile comunicare a persone estranee il fascino della speleologia. Io ho fatto un percorso diverso, il corso di speleologia per me è stato solo una tappa di un strada che avevo già imboccato e che già conoscevo. Per questo, quando mi trovo a pensare un corso, cerco di immaginarmi che cosa può significare per una persona totalmente estranea trovarsi di colpo di fronte a luoghi così inimmaginabili.
E poi l’impatto con il gruppo speleo: un’accozzaglia di gente, certamente non normale, originale, un po’ matta, simpatica ma spesso anche incomprensibile. Spesso mi chiedo che avrei fatto se mi fossi trovato anch’io qualche anno fa nei panni di un allievo che per la prima volta varca la soglia di un gruppo speleo …molto probabilmente sarei scappato. Certo deve essere un impatto violento, come quando ci si trova per la prima volta a strisciare nel fango o col culo sospeso sopra una voragine di 100 metri. Ed è difficile per un istruttore (che termine orribile) avvicinarsi, guadagnare la fiducia delle persone, trasmettergli qualcosa di vero, non tanto nozioni scientifiche, quanto un modo di vedere il mondo non più “superficiale”, di vivere emozioni intense quanto inutili.
Già, perché, quello che non dicono i manuali, è che la speleologia non è tanto una scienza o uno sport, ma un modo di vedere le cose, di superare le difficoltà, essere curiosi, essere esploratori in qualsiasi cosa si faccia. In fondo anche un modo di vivere, senza voler sentirsi diversi dagli altri, senza pretendere di avere in mano una qualche certezza inespugnabile. È come quando si è in grotta e ci si trova di fronte a un passaggio inesplorato e si sente la voglia di vedere cosa c’è oltre, e poi oltre e oltre ancora: quella sensazione è la speleologia, pura speleologia.
Quest’anno il corso è andato molto bene, gli allievi non si sono certo fatti spaventare dal buio e neppure dai ben più temibili “speleologi”. Per me dirigere un corso è sempre qualcosa di molto emozionante, quasi al pari di trovarmi dall’altra parte del mondo su una montagna inesplorata. Sì, perché confrontarsi con altre persone estranee a questa particolare realtà è come esplorare se stessi, tornare a chiedersi perché facciamo questa strana attività così ridicola agli occhi di molti che non riescono neppure a immaginare che cosa significhi. Il corso ti riempie sempre di motivazioni, nonostante la fatica, le responsabilità, e i dubbi a volte che ciò che ci piace non sia in verità questa gran cosa fantastica.
Ma vi dirò una cosa. Personalmente non sono mai rimasto deluso da un corso, e ogni incontro, ogni allievo mi ha sempre dato qualcosa, un po’ di energia o semplicemente nuove motivazioni per continuare. E così ho visto che è sempre stato anche per il GSP. Quindi il corso è finito… ma ci attendono certamente nuove avventure, nuovi sogni, in compagnia di persone nuove, e tante svolte buie da illuminare per scoprire che cosa c’è oltre, che cosa ci aspetta ancora.
Grazie a tutti

Francesco



martedì 24 marzo 2009

Facce da corso

Finalmente i nostri corsisti hanno avuto il loro battesimo di buio.. e soprattutto di fango! Domenica infatti hanno lasciato le loro prime impronte in Pisatela, Bus del Fun e nella Busa di Castel Sotterra. In quest'ultima ("Casteo"), dopo aver affrontato varie difficoltà hanno avuto l'onore di ricevere il tradizionale battesimo, misterioso cerimoniale che da anni viene celebrato in occasione della prima uscita.
Eccovi le espressioni soddisfatte di istruttori e allievi..

lunedì 23 febbraio 2009

Iscrizioni aperte per il XXXVI Corso di Introduzione alla Speleologia




Da oggi sono aperte le iscrizioni al XXXVI Corso di Introduzione alla Speleologia, che si svolgerà dall'11 marzo al 26 aprile. Il programma di massima è il seguente:

Lezioni Teoriche

11/03/2009: Morfologia dell'ambiente sotterraneo - Tecniche e materiali di progressione - Preparazione di un'uscita
18/03/2009: Folclore delle grotte - Storia della speleologia
25/03/2009: Principi di geologia - Carsismo
01/04/2009: Speleogenesi ed esempi si sistemi carsici - Protezione dell'ambiente carsico
08/04/2009: Prevenzione incidenti - Biospeleologia
15/04/2009: Rilievo e cartografia
22/04/2009: Speleologia in Italia e nel mondo - Attività del gruppo

Lezioni Pratiche

15/03/2009: Palestra in esterno
22/03/2009: Grotta semiorizzontale
29/03/2009: Palestra in esterno (tecniche di progressione su corda)
05/04/2009: Grotta verticale
18/04/2009: Rilievo nelle gallerie dei bastioni cinquecenteschi di Padova
19/04/2009: Grotta verticale
25-26/04/2008: Uscita di due giorni fuori regione

Le iscrizioni sono questa settimana (dal 23 al 27 febbraio) presso la sede del CAI di Padova (Galleria S.Bernardino, n°5) dalle 17.30 alle 19.30..per l'iscrizione bisogna portare una fototessera, mentre per i minorenni è necessaria la presenza di uno dei genitori.

La quota di iscrizione è fissata in 150 € e comprende:
· uso del materiale individuale (caschetto con doppio impianto di illuminazione, imbrago, attrezzatura personale per la progressione su corda);
· uso del materiale collettivo (corde, moschettoni, carburo, sacchi ,ecc.);
· assicurazione infortuni.
È necessario essere in regola con la quota C.A.I. per l’anno in corso.

Vi aspettiamo!

Per informazioni: Giovanni (3472610350)

gruppospeleologicopadovano@gmail.com

venerdì 6 febbraio 2009

Mercoledì 11 Febbraio: Appuntamenti al Buio 2009 - Abisso Gofredo


"Pozzi di luce: Abisso Gofredo, l'undicesimo menomille italiano"
Mercoledì 11 febbraio, ore 21. Club Sommozzatori , Via Cornaro 1, Padova.

giovedì 22 gennaio 2009

Andrea Gobetti a Padova



Nell'ambito delle serate organizzate per il 2009 dalla sezione CAI di Padova, il 20 febbraio ci sarà un appuntamento con Andrea Gobetti . Le serate si tengono a Padova, alle ore 21 presso l'Auditorium Modiglioni, via Delù, Padova (a 5 minuti dalla stazione ferroviaria. L’ingresso è libero. Per ulteriori informazioni visitate il sito www.caipadova.it , o scrivete a gruppospeleologicopadovano@gmail.com




Durante l’incontro con Andrea, verrà proiettato il film “La lunga notte”. Il film è la storia vissuta in prima persona dai soccorritori del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico che sono intervenuti nella grotta di Piaggia Bella (Alpi Marittime) per soccorrere uno speleologo croato con un intervento di soccorso durato 5 giorni. Non solo una cronaca degli avvenimenti ma anche una testimonianza del coinvolgimento umano ed emotivo vissuto dai soccorritori del CNSAS.

Appuntamenti al Buio 2009: Progetto Supramonte




Progetto Supramonte. L'esplorazione sarda del più importante sistema carsico d'Italia.
Venerdi 30 gennaio, ore 21. Club Sommozzatori , Via Cornaro 1, Padova.

Appuntamenti al Buio



Anche per il 2009 il Gruppo Speleologico Padovano CAI vuole offrire a tutti l’occasione per addentrarsi nelle profondità della Terra.
Vi è un mondo imprigionato nelle pieghe della terra, raschiato dalla trasparenza dei suoi abitanti, corroso dalle mille lacrime che lì vagano. Un mondo che racchiude il significato di ogni vita, un mondo che luce non brama, le cui parole diventano brividi sulla pelle; è in questo mondo che intendiamo guidarti, sperimentando le forme più oscure della paura, strappando a te stesso la forza per andare avanti, passo dopo passo, cunicolo dopo cunicolo, in costante ricerca del buio; più profondo di quanto possiate credere, più oscuro di quanto abbiate mai osato immaginare, questa è la speleologia…

Le serate avranno luogo a partire dalle ore 21 presso il club sommozzatori di Padova, via Cornaro 1, 35128 Padova. Ingresso Libero.

30 gennaio Progetto Supramonte. L'esplorazione sarda del più grande sistema carsico d'italia

11 febbraio Pozzi di luce. Abisso Gofredo, l'undicesimo menomille italiano


27 febbraio Dentro le miniere di Valle Imperina. Storia di una valle e di una comunità con oltre 500 anni di tradizione mineraria

mercoledì 21 gennaio 2009

Là dove il sogno è pieno d’acqua

Siamo dovuti andare in cerca di avventure, perchè non riuscivamo più a viverle nei nostri cuori...
[Re Artù ai cavalieri della tavola rotonda]


Fontanon della Stua: la porta bassa di quel sogno che pochi stolti, non paghi di vivere le avventure nei loro cuori, chiamano con nomi oramai famigerati: Locanda del Bucanieri, forra dei Poeti, Pozzo di Capitan Uncino, Halloween, Isabella, Trilly e su, su, nome dopo none, immagine del sogno dopo immagine da sogno, tutte nel contempo reali ed irreali, fino a quella voragine, 1400 metri e parecchi chilometri di oscurità più in alto, sulla piana dei Piani Eterni, il cui nome è PE 10.
Un capo del mio filo d'Arianna è legato vicino ai miei fidi, il resto è qui, nello svolgisagola che tengo in mano, e piano piano si stende lungo la galleria.
20 metri leggo sulla bandierina della sagola.
20 metri si svolgono per il semisifone e quel minimo di galleria semiallagata che porta al sifone vero e proprio dove mi trovo.
Ora sono lì, una spanna sott'acqua.

Le torce sul casco tagliano il buio che da almeno dieci anni nessuno viola più.
Il nervosismo assoluto, quasi terror panico, di cui ero prenda fino ad un attimo fa, è sparito e, finalmente calmo, respiro lento e profondo.
La galleria davanti a me prosegue abbastanza larga ma bassa e sembra del tutto indifferente al fatto che qualcuno sia venuto a disturbarla dopo tanto tempo, a cercare di percorrerla, a sognare infiniti spazi dì là ed attraverso di lei.
Pochi metri dietro le mie spalle Cesco, Giulio, Marco, Giulia, Marta e Francesco sono già a guardare gli orologi. Ne sono certo: "Se ritardo più di un ora a riemergere, andare pure a chiamare qualcuno per ripescarmi..."
E' tempo di sagolare come dio comanda, non come ho fatto fin'ora.
Questo è il sifone vero.
Qui se ci si impiglia ci si può far del male serio.
Qui la sagola può seriamente tirarti fuori dagli impicci, guidarti fuori nell'oscurità e nell'acqua torbida.
Decido di stendere la sagola a destra, in basso come da manuale.
La fisso con un elastico ad un sasso un metro sotto il pelo dell'acqua accanto alle altre due: il cavo elettrico che è partito assieme alla mia 20 metri fa e a un cordino bianco e rosso che parte proprio da qui.
Quell'improbabile sagola/cavo elettrico sapevo che l'avrei trovata, me lo aveva detto Alessio, l'ultimo ad essere stato qui, e per lo stesso motivo so anche che più avanti la troverò che passa sotto a dei e massi che le sono finiti di sopra dopo che qualcuno l’ha stesa.
Dell'altra sagola - altrettanto improbabile - un cordino da ferramenta da 6 con le bandierine fatte con le targhette in plastica dei portachiavi, non so nulla.
La galleria è abbastanza comoda; sarà un 2x1,5, scende in leggera discesa e ci si nuota bene.
Faccio una decina di metri e fisso di nuovo il mio filo.
Quello da 6 è sparito, strappato qualche metro fa; il cavo elettrico scompare e ricompare da sotto dei sassi da dieci e più chili: quando la risorgenza è in piena qui dev'essere proprio un bel ballare!
Fortuna che quando è in piena la risorgenza non è assolutamente immergibile e nessuno ci si troverà mai in mezzo!
La mia mente è lucida, di quella lucidità particolare, fredda e razionale, che sostituisce il mio nervosismo cieco quando ormai sono in acqua ed ascolto il mantra a regolare delle bolle espulse dall'erogatore.
Fredda e razionale registra tutti i particolari attorno a me e mi impone di sagolare con calma, respirare con calma, procedere lentamente e con circospezione.
Ma il cuore d'esploratore che ho in petto fugge lontano, davanti a me, s'incunea e scruta nelle tenebre appena oltre il fascio delle mie torce…
Ora il laminatoio curva un po' a sinistra, tendo un po’ il filo d'Arianna, lo fisso e proseguo.
Riappare la sagola in tessile col suo capo strappato e filaccioso; il cavo elettrico compare e scompare da sotto e dietro i sassi, spelato e lesionato in più punti.
40 metri.
La sagola da 6 è sparita, il cavo passa sotto a un sasso particolarmente grosso.
Qui e dove dev’essersi fermato Alessio, temendo per l'instabilità del soffitto nel timore che qualche blocco, staccandosi, gli finisse addosso.
Guardo bene tutto attorno e all'attività inconscia della mia mente che registra e pondera si sovrappone anche quella coscia.
La galleria mi pare abbastanza stabile, tocco il soffitto il più punti, lo percuoto – perfino - con qualche debole pugno subacqueo.
Avanzo ancora.
Forse qui sono il primo….
Il cuore d'esploratore esulta: un sogno di buio davanti a lui.
La mente cerca di tenerlo a bada, tenta di non far scappare il corpo avanti ad inseguirlo ciecamente.
50 metri.
Ho frazionato un paio di metri dietro le mie pinne.
Due massi particolarmente grossi ed alcuni sassi più piccoli ostruiscono la galleria lasciando solo un piccolo passaggio.
Molto piccolo.
Mi avvicino, spingono la luce delle torce di là... la galleria prosegue...
però è stretto...
Il cuore è già di là; la mente invece mi impone di posizionare bene il mio filo d'Arianna.
Cerco un sasso.
Prendo un elastico della giusta misura.
Bocca di lupo sulla sagola.
Elastico attorno al sasso.
Sasso lì a destra, dove ci sono solo pochi centimetri di spazio, in modo che la sagola sia tesa, abbastanza vicina da poterla seguire ed abbastanza lontana perché non ci si possa incagliare.
Infilo il braccio di là e depongo lo svolgisagola oltre, dove la galleria torna ad allargarsi.
Ora tocca a me.
Il petto a raschia su i sassi, le bombole suonano come campane battendo contro il soffitto.
Non passo.
È troppo piccolo.
Sono contrariato, ma mi ritiro, arretro.
Il secondo erogatore si incastra, l'elastico che lo trattiene al mio collo si tende.
Avanzo qualche centimetro, lo libero, torno a ritirarmi.
Anche il corrugato del GAV sta per incastrarsi, ma lo libero in tempo.
Sono fuori.
La mente combatte con cuore.
Guardo gli strumenti: -6,2; 17 minuti.
17 minuti? Di già?
Ricontrollo.
Sì: 17 minuti!
Non pensavo di essere in acqua da così tanto.
Guardo meglio la strettoia, la studio, valuto come potrei passarla.
La galleria mantiene quasi tutta la sua larghezza ma lo spazio utile è poco più largo di me e della mia attrezzatura, là dove i due massi sono appoggiati uno accanto all'altro.
A spanne misuro l'altezza del passaggio: appena più di due spanne.I guanti in neoprene non mi consentono di stendere bene le dita: saranno 40 centimetri!
La affronto il modo più razionale: sposto tutti i sassi che riesco a spostare per guadagnare anche frazioni di centimetro, raccolgo erogatore, corrugato e manometri e li spingono di là dalla strettoia, oltre la mia testa, metto un braccio avanti, ne tengo uno indietro.
Un colpo di pinne: avanzo.
M'incuneo.
Gratto.
Non passo.
Mi ritiro di nuovo.
Per un attimo la mente mi ricorda che qui sono da solo, forse più solo di un astronauta durante una passeggiata spaziale: ma il cuore ha la meglio!
Torno dentro.
Clangore di bombole.
Stridore di strumenti e tuta sui sassi.
Di nuovo bloccato!
Il cuore urla: "Pinneggia come un forsennato, la forzi e passi!"
Sto quasi per ascoltarlo.
La mente mi ferma un istante prima: " Che cavolo stai facendo, idiota!"
Torno indietro.
I miei amici mi aspettano 50 metri ed un milione di anni luce indietro.
La mente mi lascia uno scampolo di speranza: la convinzione che tornando con le bombole ai fianchi e magari con un piccolo piede di poco potrò portare il mio cuore e le mie luci oltre la strettoia.
Mi giro e ricomincio a bobinare il mio filo d'Arianna.
Decido di bonificare il sifone dalla sagola da 6 che, rotta in un paio di punti si trova a fluttuare pericolosamente per la galleria.
Ripercorro a ritroso il laminatoio e sbuco dall'acqua.
Contemporaneamente, lancio un grido agli altri per informarli che tutto OK e guardo gli strumenti, -6,2 m, 21 minuti.
Faccio a ritroso il semisifone e ritrovo Marco e Francesco che mi aspettano nell'ultimo posto dove si può restare relativamente (gran poco invero) asciutti.
Mi chiedono com’è stato di là.
Mi aiutano a liberarmi dal bombolame e dalla robaccia che ho addosso.
Sorrisi sui loro volti.
Strisciamo fuori e, dove la galleria s’allarga: Giulia, Marta, Giulio, l’atro Francesco…
Altri sorrisi.
Un sorso di brodo caldo.
Il racconto di come prosegue la galleria, della strettoia che m’ha bloccato.
Senza ritegno, chiedo subito a loro se gli va di tornare, tra qualche settimana, con un’attrezzatura leggermente diversa…
Cerco di essere i loro occhi là sotto, di raccontargli tutto.
Cerco di trasmettere loro, tra una battuta e l’altra, l’esatta forma nella quale prosegue il sogno nel buio cuore della montagna, il nostro sogno.
Hanno il diritto di sapere com’è. Ne hanno di certo più di quanto ne abbia io: hanno sudato, imprecato e sofferto di più di me là su, sulla piana dei PE, in questi anni.
Ne hanno il diritto perché anche questa volta si sono sbattuti un intero giorno tra auto, neve, carichi pesanti, teleferiche sul Mis, lunghe attese!
Sbaracchiamo e insacchiamo tutto e pian piano scendiamo verso le auto.
Un attimo prima che, scendendo, l’ingresso torni a nascondersi ci giriamo a salutare la grotta: “Ci vediamo presto, caro il nostro Fontanon….” e non suona come una minaccia, ma come una promessa perchè non c’è modo di arginare i cuori di coloro che sognano, che esplorano, che amano.
Uno speciale ringraziamento a Giulio, Giulia, Marta, Marco, Francesco, Francesco per aver condiviso con me l’avventura; Alessio e Beppe per i consigli e l’appoggio tecnico e morale.

Salvatore

giovedì 8 gennaio 2009

Neverland

E’ da cira 9 ore che siamo dentro. 9 ore di corde che scorrono nei nostri discensori, 9 ore di gallerie che fanno sudare e imprecare, poi finalmente appare come un miraggio la Locanda. Tenda, stoviglie, materiali accuratamente riposti, morbida sabbia come pavimento, un po’ alla volta tutto compare illuminato dai fasci azzurri dei nostri led. Sono stanca e ho sudato per trasportare il mio sacco, che avrei voluto più volte trascinare selvaggiamente e lanciare incurante del contenuto. Ma dentro c’è la cena di stasera e la colazione di domani e così ho trattato il pesante tubolare con tutto il riguardo possibile. Eh già, tra pochi minuti questa Locanda comincerà ad animarsi. Questo luogo che sonnecchia perennemente nel buio tornerà per pochi giorni a vivere, a ristorarci e accogliere i nostri racconti di esplorazioni e rilievi, le nostre chiacchiere goliardiche e triviali.
E’ la prima volta per me quaggiù. In tre anni di campi in Piani Eterni quante volte ho sognato le esplorazioni fatte dai compagni più esperti.. quante volte ad ascoltare rapita i loro racconti e tentare di dare un immagine ai posti da loro descritti.. Locanda dei bucanieri..Galleria dei Cinghiali.. Forra dei poeti.. Isola che non c’è.. questi nomi sui quali fantasticavo erano solo parole sfuggenti, sogni che non riuscivo ad acciuffare..
Apro il mio sacco.. bene, il vulnerabile brick di sugo al ragù non è esploso..tutto per ora sta filando liscio.



Dopo aver cenato e dormito la fatica è sparita e siamo pronti per metterci al lavoro. Scattiamo alcune foto sul pozzo Capitan Uncino, poi ci dividiamo, alcuni a fare altre foto, io Ciccio e Jonny nel ramo Happy tonno. Biospeleologi improvvisati raccogliamo degli strani sedimenti e quello che resta di un piccolo pipistrello, arrivato qui chissà quando e attraverso un percorso a noi ignoto. Tentiamo qualche improbabile prosecuzione, ma niente da fare, Happy tonno non ha niente di nuovo per noi. Disarmiamo e ci lanciamo in un altro ramo, visto solo in parte questa estate da Luca. Arriviamo fino ad una frana, passiamo alcune strettoie, ma la frana sembra non finire più, l’aria in parte si perde, e decidiamo di lasciar stare. Rileviamo, nel frattempo ci raggiungono anche gli altri. Sulla via del ritorno Cristiano e Francesco si infilano in una spaccatura e scompaiono. Quando riappaiono raccontano di aver percorso non so quanti metri.. qui sotto gli ambienti sono molto articolati, talvolta labirintici, e c’è ancora molto da capire.
Alla Locanda per cena il menu propone un bis di primi: gnocchi al ragù e risotto, il tutto con contorno di racconti e deliri di vario genere. Il mondo esterno ormai è lontano, anche più distante dei chilometri che ci separano dalla casera. Ci addormentiamo nei caldi sacchi a pelo. Domani ancora poche ore di lavoro, poi qualche ora di sonno ed è già ora di uscire.


Ultimo giorno: Marco U e Cris si sacrificano per l’ennesimo rilievo del ramo Bortolomiol, noi invece andiamo alla volta dell’Isola che non c’è. Questa zona è molto intricata e labirintica, ci sono moltissime diramazioni, alcune di esse in realtà sono solo collegamenti. Gira molta aria. Chi è stato qui in estate dice che in fondo il ramo chiude, ma noi, di fronte a tanto vento non ci crediamo. Francesco si infila in un laminatoio stretto e bagnato, dopo un po’ di tempo Jonathan lo segue. Io decido che per quel laminatoio due volontari sono più che sufficienti, e preferisco tornare indietro e vedere dove si è cacciato Ciccio, che è sparito da un po’. Lo trovo in una diramazione dove tira molta aria, impegnato in una risalita. Rimango una mezz’oretta a osservare, poi mi ricordo che sono le ultime due ore di esplorazione.. poi si torna indietro.. mi sento inutile, tutti stanno facendo qualcosa e io invece qui immobile a guardare. Mi ricordo che pochi metri indietro c’era uno sfondamento dove si intravvedeva una piccola galleria percorsa dall’acqua. Torno indietro, valuto.. interessante, ma senza corda, maldestra come sono rischio di sfracellarmi. Che palle. Non so che fare. Provo a seguire l’aria, che mi conduce ad un passaggio basso e in parte franato. Guardo avanti, c’è un meandrino da fare a carponi.. va bè, diamogli un occhio. Dopo pochi metri sento di nuovo freddo.. aria. Nel frattempo arriva Francesco: è tutto esaltato perché dopo il laminatoio hanno trovato di nuovo gallerie.. metri e metri.. che invidia.

Torniamo insieme nel meandrino: dopo una curva a sinistra si torna in piedi, c’è sempre aria.. andiamo avanti, comincio a divertirmi finalmente. Dopo un bel po’ di strada sentiamo le allegre risate della grotta.. per terra ci sono le impronte appena lasciate a Cesco e Jonathan, guadagnate a fatica in 60 metri di laminatoio basso bagnato... la grotta ha visto che mi annoiavo e ha voluto tirarmi in ballo come complice di questo scherzetto. Chiamiamo gli altri, ripercorriamo tutto fino in fondo.. diramazioni a lato.. pochi minuti, non c’è tempo..in fondo una strettoia, Ciccio toglie alcuni sassi, passiamo, c’è una saletta, poca aria, Ciccio si infila in un paio di strettoie..l’ aria si perde..pochi minuti..mi infilo tra alcuni massi in pieno delirio esplorativo, passo una fessura, sento di nuovo l’aria, davanti ho un laminatoio..tempo scaduto, bisogna rientrare al campo.

I bucanieri se ne vanno, le luci delle loro lampade sono sempre più lontane, rimane solo la penombra, poi il riflesso argenteo delle gocce d’acqua sulle pareti, poi il buio.

Giulia