Reference: -La Venta-Explorazioni Geografiche |
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La cena è nello stesso posto del giorno precedente, quello del famigerato Passakalowsky. Furbamente e russamente, i nostri spietati compagni decidono di percorrere 5 chilometri di marcia a piedi verso il ristorante, evitando di chiamare il taxi. Arriviamo dopo 40 affamati minuti ad una rovente zuppa di carne. La cosa più impressionante di quel ristorantino è il bagno, una sorta di fossa moscosa in un campo, a quasi 500 metri dal ristorante. Attraverso le cucine seguendo un bambino-cameriere, vago nell'oscurità di un cortile sabbioso, circondato da un’alta e cadente cinta di mura. Il ragazzino mi invita a seguirlo ancora attraverso un buco nel muro. Entriamo nel campo del vicino che mi guarda come se avesse visto un'apparizione di Allah. Certo, i miei vestiti e il colore della mia pelle forse sono un po’ fuori luogo nel suo campo. Dopo un altro paio di cortili arrivo finalmente a questa fossa pestilenziale. Ovviamente, sentendo già le mie vaccinazioni in subbuglio, faccio i miei bisogni da tutt'altra parte, a ridosso di un edificio. Ri-ovviamente in quel momento ne fuoriesce il proprietario a cui la scena appare talmente insolita che non osa proferire parola e si allontana quatto quatto, fissandomi e senza darmi le spalle.
Nel frattempo la vodka abbonda al nostro tavolo, e i russi appaiono sempre più sciolti ed affabili. I ricordi svaniscono. Una lunga camminata di ritorno. Gente urlante. Il salotto di Salim colmo di energumeni esagitati. Io, Francesco e Alessio improvvisiamo lunghi discorsi in russo: alticci di fronte ad un pubblico alticcio. Il padrone di casa ringhia la sua proposta di fare meno frastuono. Queste persone sembrano di colpo così familiari, sembrano amici ritrovati dopo secoli di distanza, in fortissimo contrasto con i freddi sguardi indagatori di quando poche ore prima, gli abbiamo stretto la mano per la prima volta.
La mattina dell'indomani tutti ritornano seri e risoluti, freddi e poco comunicativi. Sembra impossibile di aver vissuto la sera precedente con le stesse persone. Prepariamo le ultima cose per la salita, parte dei russi è alla stazione di polizia per i permessi. Ci rechiamo a pranzo, in un nuovo ristorante che intuiamo avrebbe messo alla prova i nostri intestini. Piscine di acqua putrida in mezzo al giardino estivo ammantato di tap-chang, tutto sà di kerosene, salviette, pane, acqua, arrosticini... forse hanno dei problemi con la stufa. O forse di tanto in tanto è tradizione innaffiare la dispensa del ristorante con del gasolio. Il servizio è meraviglioso, quasi surreale. Vedo un baffuto avventore domandare un bicchiere d'acqua. Il cameriere, con eleganza, riempie un boccale usato preso da un tavolo, su una fontana verdastra del giardino e lo fornisce prontamente al cliente. Prima però ne beve metà (credo che sia una sorta di decima che applicano i camerieri uzbeki su ciò che servono, poiché l’ho visto fare in più di un’occasione).
Saggiamente, per non farci attendere troppo, ci vengono portate in tavola delle stoviglie già usate da altri, talmente sporche e inavvicinabili che credo onestamente che il nostro utilizzo le abbia pulite. Francesco è vittima di un'esplosione intestinale quasi istantanea, e si fionda nei servizi poco distanti. Tornerà dopo un paio di minuti, con il viso pallido e smunto. Sembra che sia rimasto traumatizzato dalla visione del bagno di quel ristorante, guarendo improvvisamente dalla dissenteria, e subendo tuttavia dei danni psicologici di una certa entità, riconoscibili ancora oggi qualora aveste la “fortuna” di incontrarlo.
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Siamo alla locanda, sono le 6 di sera, arriva un ragazzo russo, ci spiega che dobbiamo precipitarci alla stazione di polizia. Senza porci troppe domande andiamo velocemente nella caserma poco distante. Incontriamo Vadim; con voce calma ma turbata, racconta che per le persone di cittadinanza russa non ci sono problemi relativi ai permessi, per gli europei è invece necessario un timbro sul passaporto ogni 3 giorni, da parte di una struttura alberghiera riconosciuta. I nostri amici speravano di riuscire a pagarci un permesso valido 20 giorni , ma sembra che per una misteriosa legge appena entrata in vigore, a Boysun questo non sia possibile. Anzi, la locanda di Salim non è nemmeno abilitatà a validare la nostra registrazione di 3 giorni. Il risultato è poco entusiasmante: essendo ormai le 8 di sera del nostro terzo giorno in Uzbekistan, noi 3 italiani diventeremo clandestini in quel paese tra 4 ore esatte. Una prospettiva non proprio rosea considerando la quantità di forze di polizia presenti in ogniddove e la perizia ossessiva che queste usano nei loro controlli .
Mentre davamo grosse testate sul muro della centrale per farci venire qualche idea, in modo improvviso e anche un pò sospetto, compare un tassista cicciotto di nome Kalim. Sembra sapere già le nostre paturnie burocratiche e si presenta come la soluzione ad ogni nostro problema. Ci spiega che la centrale di Boysun non è autorizzata a rilasciare il permesso di permanenza lungo, “ma lui”, con le sue conoscenze a Termiz, potrebbe fare al caso nostro. Termiz è una città situata più a sud, in una penisola di terra circondata dall'Afghanistan; così come Vadim ce la descrive non sembra una zona allettante. Mancano poche ore alla nostra effettiva illegalità in questo suolo non proprio ospitale, la scelta non è più di tanto ponderabile, e perlomeno dobbiamo recarci in una struttura alberghiera ufficiale per ottenere il timbro per altri 3 giorni.
Salutiamo i nostri amici russi lasciandoli all'imminente ascesa di Boysun Tau, per inoltrarci a bordo di un taxi nel deserto Uzbeko. Non ne comprendiamo il motivo, ma nessun posto di blocco osa fermarci. Sfrecciamo lontano, le luci di Boysun sono oltre l'orizzonte. Scompaiono le ultime case e la strada diventa nient'altro che una pista sterrata nel deserto, inframezzata da tratti d'asfalto in disgregazione. Josha, uno dei russi organizzatori della spedizione, è rimasto con noi, per farci da interprete, dato che se siamo fortunati, al massimo qualcuno potrebbe parlare un po’ di russo.. Le prime parole che traduce è un discorso che il tassista intavola per "rassicuraci": dice di essere un'ex spia del KGB, e che adesso si passa la pensione spadroneggiando il “clan” dei tassisti di Boysun. Per queste motivazione Kalim sostiene quindi: che lui di guida "se ne intende".
Quelle parole suonavano un pò come le disposizioni di sicurezza preregistrate che fanno ascoltare negli aerei prima del decollo.. L'auto comincia a sfiorare i 140km/h, c'è buio pesto nel deserto terribile, i finestrini sono spalancati e le leve per chiuderli rotte. I tornado che pochi giorni prima vedevamo al di fuori del furgone di Igor, ora si formano nei sedili posteriori dell'auto di Kalim, facendoci stramazzare ovunque, vorticosamente. Nel sedile anteriore invece sonnecchia Josha, comodo e tranquillo, come se fossimo in due dimensioni parallele. L'auto sgomma per ore sulle curve di quella strada infinita, sfiorando camion, pilastri di cemento, burroni, parapetti. Di tanto in tanto Kalim si avventura contromano, suppongo perchè la carreggiata del vicino è sempre la più verde. Arriviamo in tempo record, in fin di vita dal terrore, sono senza voce dalle bestemmie. Smontiamo dalla macchina, increduli di essere ancora al mondo, svegliamo Josha che è ancora là che dorme. Non capisco se non avesse realmente la minima preoccupazione o si fosse semplicemente arreso al suo destino.
Termiz, luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, una penisola di desolazione uzbeka nel deserto afgano, città di giornalisti di guerra, donne meravigliose e incredibili meccanismi burocratici. Arriviamo in un albergo, ancora terrorizzati e bianchicci, alle 11 di sera, ad un'ora dalla nostra effettiva illegalità. Una gentile e panzuta matrona, spaventata dalle nostre facce, si affretta a timbrarci il passaporto. Notte insonne, e poi sveglia. E' mattina presto, colazione con ciambelle dolci, su un giardino verdastro. In strada, un vecchio suonatore di sitar circondato da un'orda di automobili e passanti Ci facciamo strada tra esse fino all'ufficio del turismo per iniziare la nostra odissea burocratica: segreteria, ufficio di Tizio, che dopo un lungo colloquio ci porta finalmente da Caio, il quale ci abilita a conoscere Sempronio che arricchiamo con una mazzetta sostanziosa. Andiamo cosi dal poliziotto Pinco, alla caserma. Ci accorgiamo però che Sempronio ha sbagliato a scrivere un documento per la polizia: secondo lui mi chiamo Margot Zocca e faccio la pornostar nei bassifondi di Termiz, mentre Alessio, dopo la sua storia con un vassoio uzbeko, nel documento verrà chiamato ovviamente Alessoio Romeo. Straordinario che “Francesco Sauro” lo scrivono in modo perfetto, ciò mi induce a pensare che il mio caro amico avesse già frequentato quegli ambienti, spero di non venire mai a saperne di più. Torniamo da Pinco con le carte giuste tra le mani, lui ovviamente pretende una piccola mazzetta di cortesia per recarsi da Pallino, il suo boss.
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In una baracca mangiamo riso con verdure e uvetta (plov). Un'altra pausa poco dopo, per fare benzina. Oltre la strada un fiume, oltre il fiume l'Afghanistan. Kalim guarda in quella direzione in un pensoso silenzio, posa l'erogatore di oro nero. Ripartiamo..
Continua… (JeanPierre)
3 commenti:
Bello, mi fai ricordare tutto passo passo. Che terrore quel viaggio in macchina. Un'incubo!
Cesco
Che spettacolo leggerti....
Per fortuna sei tornato per scrivere questa vostra fantastica avventura
Bepi
Per chi volesse approfondire: http://it.wikipedia.org/wiki/Termiz (tra l'altro lo scrissi io anni fa)
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