lunedì 6 luglio 2009

Solo ciò che con te porterai



Scavare, scavare, scavare. Questo ci aspettava l’ultimo fine settimana. Aprire un varco nella barriera di neve del PE 10. E’ strano come un mantello così bianco possa sbarrare la strada verso quei luoghi oscuri, come se la provvidenza venisse ad occuparsi di noi piccoli speleo, a risvegliare nell’ intimo nostro l’archetipa lotta tra bene e male, a suggerirci di non oltrepassare il candido cancello che l’Inverno ha costruito. Ma anche in una visione panteistica, le tenebre acquistano un significato più profondo: solo conoscendole, esplorandone ogni più piccolo anfratto, si può scorgere la luce tanto cercata.
E così, il venerdì sera ci troviamo in casera, con del buon vino, ad aspettare il giorno successivo, a respirare di nuovo l’atmosfera del campo. La luna piena ci dà il benvenuto, mostrandoci i Piani Eterni in una notte limpida e magica, una notte senza tempo, intrappolata nelle previsioni di piogge e temporali. Persino il classico scampanellio delle mucche è rimasto a valle.
E’ solo silenzio… dove non trovano posto sogni e riflessioni, perché la sottile voce dei monti ti parla al cuore. O forse a qualcos’altro…
Ogni tanto il fruscio del vento tra l’erba scatena un’onda di ricordi. Due anni eppure quante emozioni mi vengono a galla, quante ansie, speranze.. quanti insegnamenti. Penso a coloro che vent’anni orsono cercarono in quelle montagne, e trovarono quelle grotte. Adesso son lì con me.
E nei loro occhi si percepisce le saggezza che solo l’empatia con quei luoghi può creare, un segreto custodito là dove la mente vacilla.
L’indomani ci aspetta una sorpresa: l’ingresso è aperto! La neve non ostruisce più il passaggio, solo una lastra vicina al frazionamento prima della serie di traversini è un po’ fastidiosa, ma per l’inizio del campo sarà sciolta. Decidiamo quindi di disarmare il Vincè; prendiamo, per scendere il primo pozzo, la corda d’ingresso del PE 10, in quanto quella del Vincè stesso, che era in un magazzino di rocce lì vicino, è stata trafugata.
Percorrendo il sentiero verso l’ingresso il Cica racconta a me ed Anna del fondo del PE: sembra di essere lì, in quei profondissimi luoghi, ora irraggiungibili, con lui. In grotta il Capp ci racconta di quel giorno, che cambierà la vita di molti uomini, in cui due squadre trovarono nello stesso momento l’ingresso al PE 10 e al Vincè. Nel 1989. Da quel giorno le grotta è diventata un complesso, grande, profondo e difficile. Una vita di storie ed avventure.
Come quando esplorarono per la prima volta il “Diaolin”, il passaggio che siamo percorrendo in questo momento con dei sacchi e pontoniere alle braccia e alle gambe, perché si può passare solo carponi e ci son 10 metri con 40 cm d’acqua sul fondo. Una volta lo facevano solamente con la tuta.. e poi ore di esplorazione bagnati… mi spiegano che “diaolin” è quella sensazione di irrigidimento delle mani e piedi dovuto al troppo freddo, o qualcosa del genere: io credo che quel nome abbia anche a che fare con le bestemmie che risuonarono e ancora risuonano in quel passaggio.
Tutto questo mi porta a riflettere, a rimettere in discussione tante cose, tanti momenti. L’estate di due anni fa, quando scesi la prima volta al bivacco a -450, credetti di capire cos’erano le difficoltà di una grotta.
Quando l’estate scorsa durante la mia prima punta alla locanda aspettavo bagnato e stanco con un freddo cane Jean e Romagna che armavano dei saltini nella parte terminale della Forra dei Poeti, credetti di capire cosa significa sopportare il freddo. E al ritorno, verso l’uscita, arrancando disintegrato dietro i miei compagni che mi aspettavano di continuo, ho pensato di conoscere la fatica. Ma cosa conosco in realtà? Nulla. Ci sono storie, in quei posti, che ti fanno venire i brividi, ti senti tanto piccolo e capisci che la speleologia inizia dove muoiono le tue certezze.
Che le esperienze che provi laggiù mostrano ciò che hai dentro, plasmate dal potere creativo della tua coscienza che parla di millenni passati, fissati nell’oblio dell’inconscio.
Mi torna in mente la battuta di un vecchio film:
“cosa troverò laggiù maestro?”
“solo ciò che con te porterai”.

Io, Capp ed Anna usciamo per primi dopo aver disarmato al di là del Daiolin; Marco U, il Tebe e Sergio disarmano quasi tutto il resto di grotta. Sergio porta in superficie un sacco con un bidone del diametro maggiore del suo girovita, e mi spiace perdermi le sue imprecazioni nelle zone strette dove il sacco si incastrava… all’uscita ci attendono fulmini e pioggia, e fatichiamo a trovare la strada nella notte, stavolta molto nera.
In casera attendiamo il Piroscafo che salito sabato ha fatto un giro in PE 10 con due amici, finchè una bottiglia di prugna accompagna le nostre menti in un meritato riposo…

Jonathan

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