lunedì 24 giugno 2019

Perché non hai fatto foto in grotta?


Non ho fatto foto in grotta perché non ho pazienza. Altri, più calmi e meno impusivi di me, cercheranno l’inquadratura, studieranno le luci, posizioneranno illuminatori, lavoreranno delle mezz’ore per catturare poche, pochissime istantanee della magia del mondo sotto di noi. Tecnici e artisti della perfezione, regaleranno a chi ci aspetta fuori un assaggio di questa nostra avventura, e a noi, un supporto materiale per la memoria.

Ma io non riesco a scegliere tra tutto ciò che ho attorno quello che voglio portare con me. Lo sguardo salta da una parte all’altra con l’entusiasmo molesto del novellino, inghiotte ciò che ha attorno con la voracità di chi non sa quando e quanto troverà ancora. Esploro ogni angolo cercando di imprimere nella mente mille immagini di questa bellezza. Se dovessi fare una foto a tutto ciò che mi è sembrato valerne la pena, non uscirei di qui per dieci anni almeno.

Ma forse non ce n’è bisogno. Gli occhi ricorderanno ciò che vale la pena ricordare.

Non ho fatto foto perché in grotta la luce è un estraneo. La portiamo giù noi, che ci affidiamo alla vista per conoscere il mondo più che a ogni altro senso, che ne abbiamo bisogno quasi quanto l’aria per non restare per sempre qua sotto. Eppure, nei momenti di quiete cerco il buio, e il gesto della mano che sale a spegnere la luce sul caschetto è automatico e confortante come una carezza. Il buio mi accoglie come in un abbraccio, come un ritorno a casa. La luce la cerco solo risalendo, mentre sudo per la fatica, vedendo in alto quell’altro mondo che si avvicina e chiedendomi se è questo che prova un bambino a nascere.

Non ho fatto foto perché la grotta è un mondo di suoni. L’acqua che mormora o romba, che stilla lenta dalle concrezioni che crescono, unico segno tangibile di una vita millenaria troppo lenta per i nostri sguardi di un attimo. Il rumore secco del sasso che cade, a ricordarti che il rischio esiste e che la tua è comunque sempre una vita in prestito. La voce degli istruttori nei momenti chiave, a indicare la direzione, prima della mente che non del gesto.

“Molla tutto. Guardami.”
Silenzio. Sguardo che si fissa nel mio.
“Calma. Ok? Respira. Ti stai divertendo.”

Sono qui per questo.

“Non puoi litigare con la grotta, tanto, vince sempre lei.”
Amara verità. Mezzo sorriso.
“Devi esserle amica.”

Sei tu che vuoi entrare in punta di piedi e in punta di piedi te ne vuoi andare.

Non ho fatto foto perché nessuno scatto potrà mai restituirmi l’odore della corda bagnata, il peso dei sacchi, la consistenza del fango tra le dita, la soddisfazione di cercare un appiglio solido e di trovarlo, di sentire il piede che non scivola. La concentrazione totale e assoluta nell’affrontare passaggi difficili, il conformarsi a immagine e somiglianza della roccia nei meandri stretti. Lo sfregare della corda che scivola tra le dita quando scendo sul discensore. La fatica, certo, ma anche il ritmo perfetto del doppio passo della salita, quella sinergia dei bloccanti che ti porta pian piano a vincere la più antica delle forze con un connubio inscindibile di tecnica e potenza. Il respiro che si adatta al ritmo di lavoro dei muscoli, la soddisfazione totale nel sentirli eseguire ogni movimento quasi al massimo delle loro possibilità. La bellezza di stare appesa nel vuoto e la fiducia totale in quel moschettone, in quella piastrina, nell’armo fatto dai miei compagni, nella corda che tiene il mio peso. In quello spit che non salterà, nei bloccanti che non cederanno, nella mia mano che non mollerà la presa sotto al discensore.

Ma anche questa non è una richiesta, è una preghiera a cui ad occhi chiusi mi affido. I dubbi sono cosa del mondo di fuori, e non mi sfiorano nemmeno. Se qualcosa succederà, ci penseremo allora.

Non ho fatto foto perché in grotta ho imparato a scendere solo con l’essenziale e solo con quello voglio risalire, perché in grotta non si ruba e non si abbandona. Non ho fatto foto perché, in un mondo di immagini e di emozioni a buon mercato, voglio che la grotta si presenti attraverso la mia voce, parziale e imperfetta, e che chi vuole vedere quello che io ho visto debba fare la fatica di venirselo a cercare.

Non ho fatto foto perché in grotta non esiste passato e non esiste futuro. Anche il tempo è cosa del mondo di fuori. E forse è questo che più di tutto mi ha affascinato, questo vivere l’attimo senza ieri e senza domani, sequenza di istanti di eterno presente. Il qui ed ora l’unica cosa che conta, e la serenità infinita che nasce da questa certezza.

Ed è per assaporare questa sensazione che non voglio risalire, che mando avanti gli altri con ogni scusa più o meno plausibile, quando sono a un passo dall’uscita.

“Dai, fai un cambio attrezzi e torna giù. Io ti aspetto qui.”
“Sul serio?”
“Sul serio.”
Felicità pura, come un bambino a cui hanno regalato il giocattolo dei sogni. Discensore, mezza chiave e chiave, stacco i bloccanti e torno giù. Un altro pezzo di eternità strappato al tempo.

Non ho fatto foto perché non voglio lasciare spazio alla nostalgia, per fare in modo che questa esperienza non appartenga solo al passato ma anche al futuro, e soprattutto, al presente, unico tempo che abbiamo per vivere.


Il mondo di fuori, luogo dei dubbi e del tempo, mi reclama. Spero solo di riuscire a scappargli ancora.


 And the vision that was planted in my brain, still remains
within the sound of silence.



Anna (corsista 2019)

1 commento:

Viorica Dăncilă ha detto...

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