giovedì 25 luglio 2019

Il Leviatano è a caccia... del Kraken!

Ci risiamo.
Anche questa estate, per molti gruppi speleo, è tempo di campi esplorativi.
Per noi c'è un nome in particolare che riecheggia costantemente tra le mura della nostra sede; un nome tanto evenescente quanto reale. 
Più che un nome è un ideale, è un'immagine mentale, un sogno, un incubo, un'ansia, un'ambizione.
E' bellezza, fatica, gioia, merda, freddo, vuoti inmensi, spazi angusti, quelle poche volte... è anche minestrine calde (ma scadute). E' adrenalina, competizione, lavoro di gruppo, mandarsi a fare in c**o, disfatta.

Sono i Piani Eterni.

Il 2019 era iniziato alla grande. Il gruppo in esplorazione, durante la spedizione invernale dei primi di gennaio, è sbucato su un pozzo imponente, il "Kraken", stimato circa 90-100m di altezza... un tentacolo dell'immenso mostro che il complesso dei PE si è rivelato essere da trent'anni a questa parte (qui il post di questo inverno http://gruppospeleologicopadovano.blogspot.com/2019/01/liberate-il-kraken.html). Il bello è che, da rilievo, dovremmo essere molto vicini alla superficie!

Ed è per questo che l'euforia e l'adrenalina sono a 1000.
Ma i Piani Eterni non si concedono così facilmente, possono darti tutto oppure possono prendere i tuoi sogni, stropicciarli sogghignando e ridacchiando... bisbigliandoti all'orecchio "riprovaci l'anno prossimo". 
Però è un "riprovaci" affettuoso, di incitamento. Perchè i PE non vogliono distruggerti, annichilirti, deluderti, ma vogliono essere amati, desiderati, conquistati e soprattutto... meritati.

Domani partirà la prima ondata di compagni speleo che avrà il compito di perlustrare una zona dove la grotta si sta dirigendo, per trovare l'agognato ingresso basso che permetterebbe di raggiungere le zone del fondo in pochissimo tempo e pochissima progressione. Sarebbe la svolta per le esplorazioni di un complesso carsico che è attualmente tra i più importanti e grandi, sia per estensione che profondità, d'Italia.

Io farò parte della seconda ondata, che salirà tra il 9 e 10 agosto. Sono molto agitato anche io e combattuto interiormente... e' proprio questo quello che i PE ti creano dentro, un marasma nello stomaco e nel cervello.
Vorrei salire anche con la prima ondata (adrenalina), ma il solo pensiero di dover fare due volte oltre 1000 metri di dislivello su di un sentiero distruggi polpacci mi ammazza l'entusiasmo (incubo). Spero che venga trovato l'ingresso così poi potremmo fare delle esplorazioni potenti (sogno e ambizione) ma vorrei non lo trovassero in modo da poter godere io dell'euforia per una scoperta che si potrà definire storica (competizione).

Vedete? I Piani Eterni sono tutto.

Domani partirà ufficialmente l'attacco al Kraken...
Il fuoco si combatte col fuoco.
Una creatura leggendaria si combatte solamente con un'altra creatura leggendaria.
Il Kraken è diventato una preda, la nostra preda... e l'unico che può cacciarlo, scovarlo e vincerlo è... il Leviatano.
« Fa ribollire come pentola il gorgo, fa del mare come un vaso di unguenti. Nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non aver paura. Lo teme ogni essere più altero; egli è il re su tutte le bestie più superbe. » (Giobbe 40:25-32, 41:1-26)
(Ambizione... che utilizzino questo nome 😁).



Alberto (Rabo)

Cinque speleo in mezzo alla devastazione del ciclone Vaia

Come in ogni mercoledì che si rispetti, ci si accorda per le uscite del fine settimana. Stavolta, complice il fatto che io sia già in quel dell'Altopiano di Asiago, decidiamo di andare in un abisso. Non un abisso qualsiasi, bensì l'abisso di Malga Fossetta che si infila nelle viscere dell'altopiano carsico dei sette comuni per oltre mille metri di profondità.
Gli altri compagni speleo partono da Padova all'alba di una domenica di mezz'estate. 2019. Li attendo caricando la macchina e verificando l'attrezzatura. Parto e li raggiungo in breve al Rifugio Campomulo sulle Melette di Gallio.
Sono già lì. Anna, Alice, Lorenzo e Saverio, seduti con cappuccino e fetta di torta arricchita da qualche krapfen. Fame speleologica.
Mi unisco con una fetta di torta ai pinoli. Io e la frutta secca ci siamo conosciuti e innamorati subito, complice il mio corso d'introduzione alla speleologia.
Dopo un veloce trasbordo del materiale sul mio furgoncino, si parte!.
Arriviamo dopo circa tre quarti d'ora di strada bianca a Malga Fossetta.
Leggendo le indicazioni di avvicinamento alla grotta, proviamo a fare, scarichi dai materiali, una puntata in bosco.
Eravamo consapevoli che non sarebbe stato facile trovare l'ingresso. Ma non ci aspettavamo di certo quello che da lì a poco si sarebbe rivelato il problema della giornata.
Il bosco non è più il bosco.
Quanti chilometri di bosco ho fatto nella mia vita? tanti sicuramente. A cercar funghi, a seguir sentieri, a vagare in cerca di legna da far bastoni o da intagliare. Il bosco mi ha sempre trasferito sensazioni rassicuranti. Il fitto dei suoi alberi mi ha sempre confortato.
Avevo già visto dal vivo i danni del Ciclone Vaia dell'ottobre 2018 ma non così da vicino, non nei boschi dell'altopiano. Non nei boschi della mia infanzia.
E' un'ecatombe.
Decine, centinaia di abeti bianchi e rossi totalmente sradicati e distesi al suolo, gli uni sugli altri. Accatastati.
Come in una grande fossa comune.
Ciò che più colpisce è che dopo un inverno passato a terra morti, sono come scoloriti, sono ingrigiti, sono del colore della morte, rispetto ai fratelli sopravvissuti che li guardano ai loro piedi.
Scavalchiamo, aggiriamo, passiamo sotto e attraverso, con fatica.
Non c'è traccia da seguire, né umana, né animale, in quell'inferno.
Tutto è sconvolto.
Tutto è cambiato.
Seguiamo le indicazioni del GPS verso le coordinate, in un mare di legna.
Trecentomila abeti solo sull'Altopiano di Asiago. 14 milioni tra faggi e abeti in tutto il Nord-Est. L'olocausto degli alberi.
Dopo cento anni dall'ultima devastazione che distrusse oltre l'80% del patrimonio boschivo delle terre dei cimbri.
Quella volta fu la mano del demone Uomo.
Oggi, un ciclone con venti ad oltre 150 km/h dal nome di una donna, una manager tedesca, una Lilith dei nostri giorni, una demone della tempesta.
Dopo quasi due ore di ricerca grazie alla perseveranza e al lavoro di squadra riusciamo a trovare l'alto cilindro verde che permette di accedere all'ingresso della grotta nel periodo invernale quando il manto nevoso ricopre questi martoriati boschi.
Per ritornare al furgone ci impieghiamo almeno un'ora con non poche difficoltà.
Decidiamo di abbandonare l'idea di tornare all'ingresso, si è fatto troppo tardi, sono le 13 passate.
Ci torneremo.
Consapevoli.
Preparati.
Oggi rifletto sulle sensazioni e alle emozioni provate in quel campo di sterminio.
La cosa che più mi colpisce anche a mente fredda è che anche Madre Natura per quanto grande e millenaria, muta.
Cambia pelle, radicalmente e repentinamente.
Il bosco, secolare, buio, severo, austero, schianta, in una notte e muore, per sempre.


Marco R.

giovedì 11 luglio 2019

Castel Sotterra

Prima uscita del corso.
Ho visto i miei nuovi compagni due volte soltanto, non li conosco ancora.
Nel viaggio parliamo, ci conosciamo.
Arriviamo ci vestiamo impacciatamente e non senza aiuto. Entriamo.
Buio, odore di grotta (in tutto il corso non sono riuscita a definire questo odore in nessun modo, ogni grotta ha il suo, eppure sono uguali), sassi, fango, tanto fango, voci calme, bestemmie.
Fuori piove, dentro sembra scomparire tutto. Prima un passo poi un altro.
Seguiamo l'acqua, ci corre a fianco incurante di tutto. Ci infiliamo in una srtettoia, ho già gomiti e ginocchia ammaccati.
Saliamo, scendiamo, sorpassiamo massi enormi.
Entriamo in un meandro, tutto si fa più stretto e bagnato. Poi si apre in una spiaggetta.
Mangiamo poi cominciamo a risalire.
Altre botte, lividi, graffi e fango, fango ovunque anche in bocca.
Usciamo, ci spogliamo, i lividi si fanno sentire.
Ridiamo, beviamo, chiacchieriamo.
Il giorno dopo a scuola mi fa male poggiare i gomiti sul banco.
Nelle uscite seguenti la storia si ripete; lividi ovunque a volte di più a volte meno.
Ma le grotte mi attraggono troppo per rinunciarvi.
Una cosa ho capito durante questo corso: la felicità e il divertimento di entrare, esplorare, scoprire questi posti bui, supera di gran lunga i dolori dei giorni seguenti.


Alice

martedì 2 luglio 2019

Grottando


La prima uscita ha avuto un inizio un po' particolare, diluviava e ci siamo cambiati sotto la pioggia.
Impacciato non sapevo bene dove mettere la roba a terra e come successivamente metterla addosso a me.
Alla fine dopo check degli istruttori eravamo pronti. Imbrago, maglia rapida, e partendo da destra kroll, rinvio, discensore e longe ci dicevano.
Siamo entrati nella terra già umidi… e ne saremmo usciti fradici.
Le prime strettoie sono state pura esaltazione per il mio spirito. Stavo davvero facendo quello che per anni avevo immaginato ma che credevo distante dalla mia portata, quasi una cosa elitaria.
Così, subito, come per voler scremare la folla, una schiena d'asino con il soffitto a cinquanta centimetri dalla faccia doveva essere attraversata strisciando. La "buca delle lettere". Che ha portato al "battesimo" durante il viaggio di ritorno con una "pittata" di argilla sulla faccia e conseguente espressione idiota nella foto di ricorrenza…

Il battesimo alla "Buca da lettere"
La palestra è stata la prima vera scarica poderosa di quella sensazione che ho scoperto adorare tanto: la
possente unione tra l'impotenza nei confronti del vuoto e il fascino lussureggiante che mi provoca, le vertigini, la concentrazione nel far muovere le mani nel modo giusto e di far fare loro cose altrettanto corrette altrimenti la fine di tutto per sempre…
Le prime salite su corda… non molto lunghe ma totalmente sgraziate perché alle prime armi. Ricordo il traverso e ricordo quella paura di togliere una parte di sicura della mia vita per riattaccarla poco più avanti nel passaggio successivo.
Ecco, guardare il vuoto, il nulla, attaccato a una corda, è una delle sensazioni più appaganti che io abbia mai provato.
Sono bastate poche volte per rendermi dipendente di quella sensazione tanto da non riuscire più a scendere
ma soprattutto a risalire un pozzo senza cercare con gli occhi giù in basso. 
Sempre più in basso nell'abisso della terra le piccole luci degli altri avventurieri che come me erano disposti a rischiare la loro vita pur di trovare anche un solo pizzico di una emozione capace di sprigionare nei loro corpi e nelle loro menti quella sensazione che pervade completamente infondendo VITA.
E godere di questa adrenalinica paura.
Braccia in tensione nei momenti di cambio corda, sospeso nel nulla.
Tutti mi dicono la corda tiene.
Ok cerco di fidarmi.
Risalendo una corda nel vuoto comincio a girare su me stesso privo di quella futile sicurezza che dà il contatto con la parete bitorzoluta e umida. Ma a un certo punto sento che il respiro si fa
più intenso, più la corda flette e più il respiro diventa affannoso. Allora mi fermo sorretto solo da dei piccoli dentini che mordono la corda. E ancora l'ho fatto, ho guardato di sotto cercando di fare più luce possibile come sapendo che la paura del vuoto mi avrebbe dato altrettanta forza e volontà di risalire!
Ho scoperto che sulla corda sei completamente solo. Possono spronarti, dirti di riposare ma sei sempre tu con e contro te stesso.
Ma dopo fatiche, dopo prove e prove per cercare la prestanza ideale, ho realizzato che il mio più grande alleato era lì con me, pronto ad essere sfruttato in qualunque momento...
L'effetto YO-YO!!


 Lorenzo (Fiore)


giovedì 27 giugno 2019

La grotta donna. Diario di una speleo esordiente

A te che hai curve di donna e spigoli acuminati che discendono dalla testa e salgono dai piedi, un labirinto intricato di concrezioni capaci di vibrare, di emettere suoni e di reggere il peso di umani aggrappati alle tue creazioni di antica bellezza. Nelle tue cavità riverbera il cuore e la voce si fa rotonda e lontana, regna la quiete nei miei occhi vigili e attenti e nel tuo grembo allo stesso tempo confido e prendo confidenza con il buio, con il vuoto, con le anguste impervie vie e con zone altisonanti di me.
Non saprei bene come definirti. Sicuramente sei un viaggio di introspezione geologica, ma anche di introspezione umana. Il tuo colore sembra un nero misto al blu, ovunque guardo, ti presenti a me come una gigantessa, impavida, sicura di te e, a dirla tutta, risulti non sempre molto ospitale. Tu sei lì non in attesa, ma nel tuo pieno ciclo vitale, ma allo stesso tempo sembri vivere del batticuore di chi ha il coraggio di scoprirti, di illuminarti e di affidarsi alle tue membra. Chi scende e risale lungo la tua schiena, pazzi innamorati della vita, si nutrono del tuo ritmo dove il respiro accompagna la progressione, dove in ogni distensione e contrazione il tempo si dilata e il silenzio ti accompagna.
Mi sento piccola e rispettosa del tuo mistero. Mentre discendo la corda, come un minuscolo punto di luce nel vuoto ignoto, la corda passa tra le mani e mentre scopro parti di te, nei tuoi intricati meandri, le mie personali strettoie si fanno più larghe. La paura del vuoto non è più così spaventosa. Ho imparato che entrare al tuo interno, nei tuoi inviluppi e sviluppi, richiede unione tra mente e corpo, richiede una sinergica attrazione dei sensi, tu che li aiuti a farsi più acuti. Quando si è dentro al tuo grembo c’è una musica particolare: il silenzio che è metafora del farsi cauti e coraggiosi. Le persone con cui poter fare esperienza di te sanno ridere e parlare di buon cuore e soprattutto mangiare di buon gusto!
Tu sei il luogo dove i pensieri non hanno tempo di correre, di rincorrersi o di prendersi a pugni perchè hai il potere di neutralizzare allo stesso modo le preoccupazioni come i sogni per tutto l’ impegno e la concentrazione che richiedi, tu imponi di stare nel qui ed ora senza esitazione, ma sarò sincera, mentre ti risalgo esulto nel ricercare ciò che vive sopra di te, immagino i colori che avvolgeranno lo sguardo oltre la tua bocca.


Antonella (corsista 2019)

lunedì 24 giugno 2019

Perché non hai fatto foto in grotta?


Non ho fatto foto in grotta perché non ho pazienza. Altri, più calmi e meno impusivi di me, cercheranno l’inquadratura, studieranno le luci, posizioneranno illuminatori, lavoreranno delle mezz’ore per catturare poche, pochissime istantanee della magia del mondo sotto di noi. Tecnici e artisti della perfezione, regaleranno a chi ci aspetta fuori un assaggio di questa nostra avventura, e a noi, un supporto materiale per la memoria.

Ma io non riesco a scegliere tra tutto ciò che ho attorno quello che voglio portare con me. Lo sguardo salta da una parte all’altra con l’entusiasmo molesto del novellino, inghiotte ciò che ha attorno con la voracità di chi non sa quando e quanto troverà ancora. Esploro ogni angolo cercando di imprimere nella mente mille immagini di questa bellezza. Se dovessi fare una foto a tutto ciò che mi è sembrato valerne la pena, non uscirei di qui per dieci anni almeno.

Ma forse non ce n’è bisogno. Gli occhi ricorderanno ciò che vale la pena ricordare.

Non ho fatto foto perché in grotta la luce è un estraneo. La portiamo giù noi, che ci affidiamo alla vista per conoscere il mondo più che a ogni altro senso, che ne abbiamo bisogno quasi quanto l’aria per non restare per sempre qua sotto. Eppure, nei momenti di quiete cerco il buio, e il gesto della mano che sale a spegnere la luce sul caschetto è automatico e confortante come una carezza. Il buio mi accoglie come in un abbraccio, come un ritorno a casa. La luce la cerco solo risalendo, mentre sudo per la fatica, vedendo in alto quell’altro mondo che si avvicina e chiedendomi se è questo che prova un bambino a nascere.

Non ho fatto foto perché la grotta è un mondo di suoni. L’acqua che mormora o romba, che stilla lenta dalle concrezioni che crescono, unico segno tangibile di una vita millenaria troppo lenta per i nostri sguardi di un attimo. Il rumore secco del sasso che cade, a ricordarti che il rischio esiste e che la tua è comunque sempre una vita in prestito. La voce degli istruttori nei momenti chiave, a indicare la direzione, prima della mente che non del gesto.

“Molla tutto. Guardami.”
Silenzio. Sguardo che si fissa nel mio.
“Calma. Ok? Respira. Ti stai divertendo.”

Sono qui per questo.

“Non puoi litigare con la grotta, tanto, vince sempre lei.”
Amara verità. Mezzo sorriso.
“Devi esserle amica.”

Sei tu che vuoi entrare in punta di piedi e in punta di piedi te ne vuoi andare.

Non ho fatto foto perché nessuno scatto potrà mai restituirmi l’odore della corda bagnata, il peso dei sacchi, la consistenza del fango tra le dita, la soddisfazione di cercare un appiglio solido e di trovarlo, di sentire il piede che non scivola. La concentrazione totale e assoluta nell’affrontare passaggi difficili, il conformarsi a immagine e somiglianza della roccia nei meandri stretti. Lo sfregare della corda che scivola tra le dita quando scendo sul discensore. La fatica, certo, ma anche il ritmo perfetto del doppio passo della salita, quella sinergia dei bloccanti che ti porta pian piano a vincere la più antica delle forze con un connubio inscindibile di tecnica e potenza. Il respiro che si adatta al ritmo di lavoro dei muscoli, la soddisfazione totale nel sentirli eseguire ogni movimento quasi al massimo delle loro possibilità. La bellezza di stare appesa nel vuoto e la fiducia totale in quel moschettone, in quella piastrina, nell’armo fatto dai miei compagni, nella corda che tiene il mio peso. In quello spit che non salterà, nei bloccanti che non cederanno, nella mia mano che non mollerà la presa sotto al discensore.

Ma anche questa non è una richiesta, è una preghiera a cui ad occhi chiusi mi affido. I dubbi sono cosa del mondo di fuori, e non mi sfiorano nemmeno. Se qualcosa succederà, ci penseremo allora.

Non ho fatto foto perché in grotta ho imparato a scendere solo con l’essenziale e solo con quello voglio risalire, perché in grotta non si ruba e non si abbandona. Non ho fatto foto perché, in un mondo di immagini e di emozioni a buon mercato, voglio che la grotta si presenti attraverso la mia voce, parziale e imperfetta, e che chi vuole vedere quello che io ho visto debba fare la fatica di venirselo a cercare.

Non ho fatto foto perché in grotta non esiste passato e non esiste futuro. Anche il tempo è cosa del mondo di fuori. E forse è questo che più di tutto mi ha affascinato, questo vivere l’attimo senza ieri e senza domani, sequenza di istanti di eterno presente. Il qui ed ora l’unica cosa che conta, e la serenità infinita che nasce da questa certezza.

Ed è per assaporare questa sensazione che non voglio risalire, che mando avanti gli altri con ogni scusa più o meno plausibile, quando sono a un passo dall’uscita.

“Dai, fai un cambio attrezzi e torna giù. Io ti aspetto qui.”
“Sul serio?”
“Sul serio.”
Felicità pura, come un bambino a cui hanno regalato il giocattolo dei sogni. Discensore, mezza chiave e chiave, stacco i bloccanti e torno giù. Un altro pezzo di eternità strappato al tempo.

Non ho fatto foto perché non voglio lasciare spazio alla nostalgia, per fare in modo che questa esperienza non appartenga solo al passato ma anche al futuro, e soprattutto, al presente, unico tempo che abbiamo per vivere.


Il mondo di fuori, luogo dei dubbi e del tempo, mi reclama. Spero solo di riuscire a scappargli ancora.


 And the vision that was planted in my brain, still remains
within the sound of silence.



Anna (corsista 2019)