venerdì 4 giugno 2010

Racconti dei sopravvissuti al Corso di Introduzione - parte 2

Come ben saprà chiunque pratichi speleologia, l'andar per grotte non è una di quelle attività classificabili come “tranquilli e poco impegnativi svaghi domenicali” ma bensì un agghiacciante coacervo di ginocchia doloranti, giornate passate nelle viscere della terra con temperature di poco al di sopra dello zero, estenuanti risalite su corde (spesso dotate di volontà propria che si ingarbugliano vigliaccamente ovunque), strisciamenti e contorcimenti degni del peggior artista circense ed altre amenità di questo tipo che per decenza mi esimo dall'enumerare.
I profani, invece, hanno solo un'idea molto vaga di cosa significhi speleologia e sono ben lungi dall'essere a conoscenza di simili orrori (salvo frammentarie e discordanti informazioni passategli dal gran fratello masson... ehm volevo dire dall'amico speleologo); questo è il caso dello scrivente che, in un momento di evidente scarso raziocinio, ha deciso di cedere alle velate lusinghe (protrattesi tra l'altro per svariati anni) del suo stimato amico di lunga data Jean Pierre.
Siglata la mia condanna alla pena forte et dura mandando i moduli di iscrizione, ebbi la mia ultima possibilità di redimermi il sabato prima dell'inizio del corso, quando come “battesimo ipogeo” mi ritrovai a sguazzare nelle gelide acque del Buso della Rana, conseguendo il brillante risultato di uscire con uno scarpone senza suola e gli arti inferiori al limite del congelamento.

Dopo questa rinfrescante esperienza, lasciai definitivamente prevalere il masochismo, quindi il mercoledì seguente mi presentai alla prima lezione del corso, dove venni accolto da termini astrusi ed esotici come longe, croll e kilonewton, nonché dalla dogmatica ed inquietante affermazione “ragazzi, dovete fidarvi dell'attrezzatura, non avete scelta”.
Non mancarono oscuri riti misterici, come ad esempio il pestaggio di Cristiano e Jean Pierre ai danni di un Jonathan in veste gladiatoria che si vendicò atrocemente chiudendo dentro la sede del gruppo i suoi aguzzini (compreso il sottoscritto, che era estraneo ai fatti).

Detto questo, avendo ricevuto una proposta che non si può rifiutare, mi cimento nell'improba impresa di riassumere lo svolgimento del 37° corso di introduzione di speleologia:

Le lezioni di corso sono scivolate via tranquillamente per un mese e mezzo: due ore di teoria dove è stata conservata una parvenza di ufficialità e di serietà (inclusa una minacciosa lezione avente come oggetto gli incidenti in grotta) ed il dopo lezione, obbligatoriamente caratterizzato da allegre assunzioni di alcol, sostanza senza la quale nessuno speleologo può millantare di essere tale.

Le domeniche, invece, per cercare di farsi male in qualche maniera, sono state dedicate all'uscita pratica: si è cominciato con le palestre esterne, necessarie per impratichirsi delle tecniche di risalita su corda, ma anche per esercitarsi alla sopraffina arte dell'imprecazione blasfema ed a prendere confidenza con la confortante sensazione di starsene appesi ad una corda con alcune decine di metri di vuoto sotto i piedi (un piacere oserei dire quasi erotico per uno come me, che si terrorizzava a stare sopra ad una scala).
L'A.S. (il che sta per “aspirante speleologo”, non per “aspirante suicida”) è stato poi condotto volente o nolente in grotta, il Sancta Sanctorum dello speleologo (oltre ovviamente all'osteria), che sarà lo scenario per tutta una serie di piacevoli esperienze per i corsisti, citiamo per amor di sintesi:

 Impianti di illuminazione che eufemisticamente si potrebbero definire malfunzionanti (in primis le tanto ingiustamente osannate lampade a carburo)
 Meandri affrontati bestemmiando e invocando oscuri dei appartenenti ad antidiluviani pantheon per riuscire a districarsi
 Simpatiche cascatelle sotterranee che fanno del loro meglio per inzuppare le già provate membra del malcapitato.

Per la categoria “riflessioni sulla caducità della vita” si possono annoverare invece:

 Frazionamenti e traversi dove ci si trova a pensare su quanto sarebbe facile ottenere una ignominiosa e prematura dipartita da questa valle di lacrime, semplicemente sbagliando ad assicurarsi.
 Pozzi infiniti a metà dei quali, ormai relegate in una recondita area della nostra mente le rassicuranti nozioni sulla tenuta dei materiali, ci si sente sfiniti ed incapaci di proseguire oltre e si giunge all'amara constatazione: “sono lontano dalla fine della risalita, ma sufficientemente in alto per fare una fine indegna nel caso si rompesse la corda/l'imbrago/la maglia rapida/l'ancoraggio”; è questo il classico momento di profonda introspezione in cui si arriva a maledire con acredine la scellerata decisione di partecipare al corso ed a lanciare anatemi verso il machiavellico figuro che vi ha irretito a prenderne parte.

Una volta riemersi dalla grotta (incredibilmente incolumi, per lo meno fisicamente) ci si darà alla deboscia più sfrenata, probabile retaggio di tempi antichi nei quali uscire dalla grotta indenni era un evento da festeggiare con orge e baccanali: vale a dire un primo spuntino (consistente in alimenti che farebbero inneggiare alla jihad un dietologo) consumato indecentemente tra i lamenti dei feriti, tute in condizioni igieniche raccapriccianti e mani a dir poco sordide.
Per concludere l'uscita, recuperato un contegno consono al reinserimento nel mondo civile, gli speleologi si recano nelle trattorie della zona per consumare la meritata cena e, perché no, assopirsi con la faccia sul piatto nei casi più estremi (il sottoscritto ci è andato molto vicino).

Come diceva Giovanni Falcone: “tutte le cose umane hanno un inizio e una fine” e disgraziatamente, il corso di speleologia, malgrado i suoi innumerevoli punti di contatto con il divino (a tutti i livelli), non fa eccezione: esso si concluderà i primi di maggio, dopo una divertentissima uscita che mi ha ricordato molto i camposcuola estivi con la parrocchia (dopo quest'affermazione penso dovrò riparare in Siberia per sfuggire alla vendetta degli speleologi oltraggiati dal paragone).

Dopo essermi fatto, a corso terminato, nell'ordine: 131 metri di risalita, con tanto di avvicinamento alla grotta in sette in una macchina, a mo' di carro bestiame (Spluga della Preta); un'allucinante uscita completamente regolata dalle Leggi di Murphy (Lusiana); un abominevole meandro fangoso con strettoia finale, molto simile ad un parto con tanto di levatrice per aiutarmi ad uscire (Capura); posso affermare:


LA SPELEOLOGIA CREA DIPENDENZA, NON COMINCIARE

Vipera



6 commenti:

Fede ha detto...

La stoltezza e leggedria narrativa si fondono in seno a Vipera..
da buon neo speleologo mi ritrovo nelle tue descrizioni di queste ineguagliabili avventure..

evviva viperozzo!

Fede ha detto...

leggiadria! cazzo!!

Giulia ha detto...

Bravi a tutti e due.. e che bestemmie a parte ci siano tante avventure in grotta sul vostro orizzonte!!!!

Maui ha detto...

che prosa! un degno amico di JP! :)

Vombati ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

sono commosso. mi fa piacere che dopo anni di riti mitraici la tua percezione dell'autolesionismo si sia evoluta a tal punto.
esso, se applicato alla speleologia e al vizio in genere, rende il tuo intimo pieno di quello stesso buio che fa da sfondo al tuo satanismo.
un coloratissimo buio.
in poche parole: sono contento di aveti rotto il cazzo per farti fare il corso

JP