lunedì 18 gennaio 2010

L'alba sui Piani Eterni



Lentamente la sommità di Cimia prende colore, si accende, sfiorata dai raggi di un sole che è ancora nascosto alla vista.
E’ l’istante appena prima dell’alba. Ciccio si cambia con calma, quasi come se nella sua mente non ci fosse posto per il gelo e la fatica. Disseppelisco lo zaino dalla sua coperta di neve. Riscaldo con le mani gelate gli attrezzi bloccati dal freddo. Mi levo di dosso i brandelli rimasti della mia vecchia tuta. Dopo qualche minuto, lontana dal mio calore, la tuta si gela, diventa rigida come cartone.
John è quasi fuori. Non lo vedo, ma lo sento bestemmiare contro il vento, che sibilando si incanala nell’ingresso verticale della grotta e gela tutto ciò che trova nel suo percorso.
Indosso le ciaspe. Il sole s’innalza. Porgo la grappa a John, è l’unica cosa rimasta liquida.
Mentre la beve, i suoi occhi traboccano di immagini.
Larry è già uscito dal pozzo, e resta fermo qualche istante ad osservare l’esterno.
Mauro subito dietro indossa il suo sorriso che contagia. Il viso sereno, il passamontagna grigio topo, i moccoli che dondolano, quasi ipnotici.
In fondo è questo il momento che più amo, appena dopo essere usciti, appena prima dell’alba, appena prima di tornare a casa, appena dopo essere tornati da un viaggio. Tutto quello che stà per fuggire, ma è ancora vivo.
E più in basso, all’interno, un universo di dubbi. Dove và quel pozzo? Dove porta quella sala? Da dove arriva quella forra? Come mai quel camino tira aria? Perché mai stò strisciando in questo cunicolo marcio? Com’è possibile che stiamo esplorando da sei ore e non vediamo la fine? E’ un sogno? Forse sono ancora in un altro paese.
Tornare laggiù è stato come ritrovare una vecchia amica che ho abbandonato. Si ricomincia lentamente. Appena ritrovati, Lei un po’ incazzata, mi saluta splendida e indifferente. Mi spinge, mi strattona, mi frulla per i rami nord-ovest e i cinghiali fino a rigurgitarmi, sballottato, alla locanda dove finalmente dormiamo.
Il giorno successivo lo passo a chiedere umile perdono, strascicando nei laminatoi bagnati e marci, portando avanti un irritante rilievo per cunicoli che girano su se stessi e che ti trascinano nella fanghiglia per non portarti da nessuna parte.
Il terzo giorno, perdonato solo in parte, Lei mi illude di mostrarsi. Lentamente mi porta alle soglie dell’esplorazione. Purtroppo, mi rendo conto quasi subito che la signora dei Piani Eterni era ancora offesa, e più che mai decisa ad illudermi per farmela pagare. Seguiranno ore di esplorazione sul più apppestato cunicolo in cui abbia mai rantolato. In cui ancora adesso risuonano, sono convinto, le eresie di John.
Al colmo dello sfinimento Lei decide di mettere le cose in chiaro e di vendicarsi dolcemente ancora una volta. Quel ramo esplorato con tanta fatica, riporta nient’altro che sulla galleria principale.
Cala la notte anche sulla grotta, sono un po’ triste, non riesco a far la pace con Lei. Non mi aspetto più nulla, spero solo non abbia voglia di divertirsi anche l’indomani.
Arriva il quarto giorno, senza sapere il perché, mi sento attratto dal ramo di Moby Dick. Era qualche giorno che avevo in testa il motivetto della canzone dei Led Zeppelin. Mah.. Forse ero un po’ suggestionato dal nome.
Un bel po’ di ore più tardi, Larry, John ed io, ci incontriamo con Ciccio e Mauro riunendo le due squadre, entrambe di ritorno da una giornata incredibile, in cui si sono schiuse le porte di un nuovo labirinto, che si accosta agl’altri labirinti in cui già ci stavamo perdendo.
Torrenti ci attraversano la strada guidandoci in nuove sale, a cui si affacciano nuove gallerie, che provengono da nuove forre, che portano a nuove gallerie e così all’infinito; vaghiamo dentro di “lei”.
Lei che ridendo ci sospinge verso i nostri dubbi.
Forse per un istante, quel giorno, deve avermi perdonato.
La sera, tutti riversiamo sul bancone della locanda i nostri racconti. Festeggiamo come se fossimo nella più sordida delle osterie, sbraitando, ridendo, battendo i pugni sulla tavola di fronte a questa oste invisibile.
Poi restiamo in silenzio.
Sono gonfio di emozioni. L’ultima mezza giornata che ci rimane non desidero nemmeno abbandonare la locanda, mi è sufficiente stare là. In compagnia della nostra oste.
Mi prendo cura di Lei, sistemo le nostre cianfrusaglie, pulisco il bancone, ramazzo il pavimento, mi sento sereno.
Sono passati sei giorni, i miei bloccanti risalgono lenti sulla corda, riprendo a parlare con l’oscurità. Come se non fosse successo nulla. Come se non l’avessi mai abbandonata.
Lei mi risponde placida e forte, mi rassicura, mi sospinge. Poco prima d’uscire, col suo fiato vorticoso mi ammonisce un’ultima volta, e raggelo, prima di rivedere l’esterno.

JP

3 commenti:

speleociccio ha detto...

bel racconto JP!
in effetti l'uscita all'alba è stata veramente spettacolare e densa di emozioni, come tutta la punta del resto.
beh... poi è naturale che dopo un annetto a fare lo spelndido con le grottine di australia e tasmania LEI ti faccia un pò penare...

ciccio

Cristiano ha detto...

...l'oste bravo non smette di versare buon vino e quest'anno all'osteria dei Piani Eterni c'era parecchia gente assetata...


She says baby if you wanna be wild
you got a lot to learn, close your eyes
Let them melt, let them fire, let them burn
Cause in the darkness there'll be hidden worlds that shine

(parole rubate al boss, a C. e a G.)

Cescospeleo ha detto...

Sai sempre scrivere bene.
Mi sarebbe piaciuto esserci anch'io con voi, ma ci saranno altri momenti, altre storie...