martedì 5 ottobre 2010

Cenote, un sogno alle porte di casa



«I piccoli sogni abitano dietro casa. I grandi viaggi finiranno quando non si avrà più il coraggio di sognarli.» M.R.

Ho gli occhi che bruciano del riflesso del sole sulla neve fresca, mentre un fastidioso nevischio trasportato da una leggera brezza continua a sferzarmi il viso. Dietro di me un serpentone di gente arranca faticosamente lungo una morena sovrastata da alte pareti su cui occhieggiano imbocchi di grotte inesplorate. Qualche escursionista passando lungo il sentiero guarda stranito i nostri zaini enormi, carichi di matasse di corda, tende, piccozze, chiodi da ghiaccio, caschetti speleo e altre diavolerie. Sembriamo una spedizione che si sta avviando a conquistare qualche montagna in chissà quale luogo sperduto del mondo. E invece no… siamo sulle montagne di casa, le Dolomiti, un luogo che non riusciamo mai a realizzare definitivamente quanto sia unico e magico, quanto poco o niente abbia da invidiare ad altre montagne, magari più alte, più grandi, ma mai più eleganti. Esplorare quassù è un grande privilegio. Le Dolomiti sono la frontiera della speleologia del futuro. Lo penso affacciandomi sulle altissime pareti di San Cassiano, a 3000 metri di altezza, osservando un tramonto che colora una distesa di montagne sconfinate: Civetta, Marmolada, Sella, Sassolungo, Odle… Quante pareti, quanta roccia, e chissà quanto ancora si nasconde là dentro di quel Regno di Fanes, quel luogo magico, che deve esistere, e noi lo sappiamo.

Siamo quassù, in cima alle Conturines, per esplorare uno degli abissi più in quota delle Alpi. Un ingresso grandioso, a 2930 metri, il Cenote, detto anche “Buco nell’Acqua”. Già… perché se voi cercaste questa grotta su una cartina scoprireste che un tempo questo ingresso enorme era un bel laghetto alpino dalle acque blu scuro, che se ci guardavi dentro sembrava non avessero fondo. Nel 1994, pare in seguito a un crollo della parete, il lago si è improvvisamente svuotato. Tolto il tappo, come da una gigantesca vasca da bagno. E si è aperto l’accesso a una grotta, scavata attraverso un grande ghiacciaio interno, un luogo freddo, sferzato da un vento sinistro, troppo affascinante e spaventoso per rimanere lì inesplorato.

Oggi siamo qui insieme agli amici del CSProteo di Vicenza, in particolare Matteo e Lina, compagni di altre esplorazioni, con cui condividiamo il modo di pensare, di essere, di concepire quella speleologia che va oltre le frontiere. Con loro anche Angelo e Gianpaolo. Gian in particolare è l’unico tra noi che è entrato nel Cenote cinque anni fa. Insieme con il compianto Paolo Verico, erano stati trasportati lassù da un elicottero della finanza, per poi scendere nel ghiaccio per oltre 100 metri fino ad affacciarsi su una voragine profondissima che non avevano potuto scendere per mancanza di materiali. Il vento freddo che congelava le tute e le attrezzature bagnate, insieme con il brutto male che si era portato via Paolo pochi mesi dopo, avevano poi smorzato gli entusiasmi esplorativi. Nessuno da allora è mai tornato laggiù.

Questa volta siamo un bel gruppo motivato, legato da una forte amicizia, deciso a tornare a casa con un bel risultato, anche per ricordare Verico e dare luce a quel grande pozzo che lui aveva scoperto cinque anni fa. Molte sono le incognite. Prima di tutto il meteo. Di questa stagione a tremila metri non si scherza, una bufera di neve può farti perdere la strada del ritorno, il freddo può fare il resto… Seconda, il ghiacciaio interno: cosa sarà successo in questi anni? Il passaggio sarà ancora aperto? Terza: il caldo e il sole. Sì perché anche una giornata troppo bella e calda rischia di sciogliere la neve e far precipitare nella grotta una cascata di acqua che il vento è capace di congelarti addosso, per farti finire come un succulento stoccafisso della bofrost. E poi tutto il resto.

Montato il campo all’ingresso, grazie anche a quattro di noi che si sono prestati come portatori e che ora ridiscendono a valle, la prima squadra si prepara ad entrare. Sono le 5 del pomeriggio e le nebbie che ci hanno accompagnato fin d’ora cominciano a diradarsi mostrandoci l’imbocco nella sua imponenza. Luca, Gian e Jean Pierre, dopo aver litigato con il trapano, che come sempre si rifiuta di andare nei momenti importanti, cominciano la discesa del ghiacciaio interno. Le cose sono abbastanza cambiate rispetto al 2005, la via nel ghiaccio si è spostata e bisogna seguire l’aria per trovare la strada giusta. I tre arrivano così a un fondo cieco, sembra che non ci sia speranza. Ma, come al solito, Jean ha l’intuizione giusta e con una breve risalita a piccozza e ramponi raggiunge una finestra che da accesso a un incredibile condotta di ghiaccio che porta su altri pozzi tra le pareti di roccia e il ghiacciaio. È sera ed entra una seconda squadra. Matteo, Lina e Angelo che hanno il compito di avanzare fino all’imbocco della voragine interna e tentare di scenderla. Io, Crispino e Doomenico aspettiamo ancora fuori fino a mezzanotte che esca nel frattempo la prima squadra. Quando entriamo scendendo veloci lungo le corde troviamo Lina alla disperata ricerca di un po’ di stillidio per riempire delle bottiglie. Ci avverte che la situazione là sotto non è delle più amene, tutti stanno soffrendo la sete. La grotta è in condizioni ottimali, asciutta, fredda, congelata. Ma secca. Soffriremo tutti moltissimo, perché quella poca acqua di scioglimento che beviamo è senza sali, quasi amara, e fa male. Ma non ce ne rendiamo conto e la pagheremo poi cara risalendo con nausea e conati di vomito.Quando arriviamo in cima al pozzone, Jean sta risalendo, mentre Matteo e Angelo sono sotto un centinaio di metri. So capire ormai solo sentendo il tono della voce di Jean che cosa c’è la sotto. Il pozzo deve essere davvero enorme e c’è molta incertezza sul fatto che le corde che abbiamo possano bastare. Dobbiamo recuperare una 30, l’ultima e scendere dagli altri, ma siamo scettici di poter toccare il fondo. Scendiamo veloci lungo una grandiosa lingua di ghiaccio mentre l’ambiente si apre sempre più sotto di noi perdendosi in un nero spaventoso. Con un pendolo si raggiunge la parete di roccia e ci si rende conto che il ghiacciaio è sospeso come un gigantesco trampolino che si affaccia nel vuoto. Altri cinquanta metri più in basso troviamo gli altri due appollaiati su un minuscolo terrazzino. Ci dicono che in totale abbiamo ancora 50-60 metri di corda, guardando giù si intravede il fondo, un ambiente gigantesco, nero nerissimo. Angelo, risale, mente Matteo rimane con me e Cristiano che sta scendendo. Dall’ultimo frazionamento lo vedo scendere e diventare sempre più piccolo. Giunta le corde e continua nel vuoto per almeno sessanta metri. Da sopra la visione è impressionante. Vedo un omino minuscolo sperduto in un ambiente gigantesco. Poi di colpo una bestemmia rimbomba tra le pareti del pozzo. Tre metri… mancano solo tre metri di corda al pavimento! Sembra una presa in giro. Siamo tutti concordi che non usciremo da qui se non avremo raggiunto il fondo di questo baratro. Così Matteo si sacrifica risalendo il pozzo per recuperare la corda del traverso che si trova in testa alla voragine. I suoi ramponi stridono contro la parete, mentre pezzi di ghiaccio continuano a cadermi addosso… uno mi colpisce il braccio… la cosa mi mette ansia, ma alla fine va tutto bene e Matteo fa ritorno con la corda necessaria.

Questa volta non è una bestemmia ma un urlo di soddisfazione che rimbomba nel pozzo quando Cris tocca il fondo. E anch’io continuo a urlare mentre scendo. Non ho mai esplorato un ambiente così impressionante. Ci troviamo nel salone tutti e tre per un autoscatto di rito e poi, stanchissimi, ci mettiamo a girare nell’ambiente, senza altre velleità esplorative. Il pavimento della sala è un enorme rock glacier. L’ambiente supera i 100-120 metri di lunghezza raggiunge i 60 metri nel punto più largo, 40 in quello più stretto. Il baratro ha quindi un volume di circa 900.000 meri cubi. Non sappiamo quanto sia profondo il ghiaccio, ma con ogni probabilità si tratta del più grande ghiacciaio interno esplorato delle Alpi. Addirittura sul fondo del salone si può osservare una sorta di cordone morenico, che ci dice che tutto quell’ammasso si muove, si modifica.

Siamo tutti e tre molto emozionati. Io e Teo siamo però anche molto stanchi. Sono le 5 di mattina, siamo a circa –280 di profondità, e sappiamo che da fuori difficilmente scenderà qualcuno ad aiutarci a disamare. Per fortuna che l’adrenalina ha rinvigorito Cris che risalirà disarmando tutto senza fare una piega, mentre noi ci avviamo con i sacchi verso l’esterno. Sopra il pozzone troviamo Lina, unica che ha avuto pietà di noi ed è scesa ad aiutarci. Penso che si sarebbe meritata anche lei la discesa del pozzone e mi spiace non potergli dire «vai, scendi a vedere che c’è là sotto…»

Tante volte pensiamo che per trovare cose che ci emozionino, per esplorare davvero sia necessario andare lontano geograficamente. Risalendo penso che “andare lontano” non sia questione di chilometri, di angoli opposti del mondo. Si può essere distanti da tutto anche nelle montagne di casa. Si possono scoprire cose mai immaginate anche qui. Penso di non essere mai andato così lontano come quei momenti passati nell’enorme buio del Cenote, nel cuore delle nostre montagne.

Al rifugio scorrono fiumi di birra, mentre qualcuno si accascia russando sul tavolo tra le risate degli altri, solo un po’ più lucidi. Anche se nessuno lo dice, sappiamo che tutti i brindisi vanno a Paolo Verico, al suo Baratro, che a lui dedichiamo, come è giusto che sia… perché le persone rimangono legate per sempre ai luoghi che illuminano. Anche e soprattutto qui, nel cuore delle Dolomiti.

Francesco Sauro

Hanno partecipato (in ordine sparso)

Matteo Burato, Lina Padovan, Angelo Roncolato, Gianpaolo Visonà, Martina Schiavinotto, Greta Guidi, Winder Alexander Gonzalez, Federico Buia, Domenico Carletto, Luca Gandolfo, Jean Pierre (Marco) Zocca, Cristiano Zoppello, Francesco Sauro.


La condotta scavata nel ghiacciaio dalla corrente d'aria.

Il Baratro Paolo Verico, dal basso.


Il gruppone.

martedì 7 settembre 2010

Frammenti di viaggi dal punto di vista della nebbia

Il fumo della sigaretta di contrabbando filtra trai denti del pastore. Le sue labbra contratte da un sorriso, il viso segnato dal tempo, percorso da rughe fonde come le notti passate a fuggire nelle sue montagne.
Sorride, parla delle “sue” montagne, del vuoto che contengono e di cui ha spesso intuito l’esistenza. Restiamo a gambe incrociate, io e Guido, sopra spessi tappeti di Persia, cercando di intuire quale possa essere la posizione più rispettosa da mantenere in fronte al padrone di casa.
Comunichiamo, mescolando lingue, gesti, espressioni, mentre il pastore albanese, steso trai cuscini ci osserva, divertito dal nostro cercare il buio nel suo regno delle pecore e delle montagne impervie.
Da un angolo della baracca, la moglie, che osa avvicinarsi solo in presenza del marito, poggia ai nostri piedi due ciotole colme di caffè turco. Si allontana in silenzio dopo averci raccomandato di essere pazienti, poiché la polvere di caffè ha bisogno di sedimentarsi prima di berlo.
Al di fuori di quelle assi di legno, lontano dalle candele che illuminano la baracca, più in là, oltre il recinto delle pecore, aldilà del crinale dove ululano i lupi, il giorno precedente eravamo affacciato sull’orlo dell’abisso.


Marco, fumante di sudore, accaldato dagli spit appena piantati, scende in quello che doveva essere l’ultimo buco dei quindici che abbiamo scoperto vagabondando a piedi sulla catena del Prokletje.
Uno squarcio colmo di neve, uno di quegli ingressi che speri che non nasconda una grotta. Un cunicolo alla base di una parete, un filo d’aria, qualche sasso da spostare, uno spit piantato in fretta.
Si schiude una piccola sala, la quale termina con un meandro sfondato su del nero. Il nostro accurato profondimetro azzarda un “20 metri”.
Ci guardiamo soddisfatti, getto una gassa di corda su un “solido sperone di roccia” e scendo. Mi apposto all’ingresso del pozzo a piantare un paio di spit. 20 minuti di smartellate, poi placchette, poi moschi, poi coniglio, poi.. vedo che un caro collega è deciso a scendere prima di me, è il signor “solido sperone di roccia” che nel frattempo si era stancato di reggere il mio peso e ha optato per l’estremo gesto. Si schianta sul fondo del pozzo, simpatica coincidenza quella di aver attaccato la longe al nuovo spit pochi istanti prima. Marco inarca le sopracciglia e impreca, ma impreca in modo misurato e conciso, secondo il suo carattere. Poi ristabilito il suo equilibrio mi invita a seguire il sasso, giù, nel nero mai illuminato.
Un terrazzo, traverso, corde ovunque, spit, smartellate, attacchi inaffidabili, cordini, vuoto nero ed irraggiungibile alla luce del carburo, e poi discesa. La corda da 40 termina, e sono immerso nel vuoto, le pareti lontane mi raccontano che ai loro piedi esiste uno spazio ben più grande del meandro da cui provengo.
Giunto la corda, passo il nodo, scendo altri 20 metri, tocco il fondo. Le pietre si assestano sotto il mio peso, il loro rumore risuona alle mie spalle. Mi volto, un enorme portale a V rovesciata mi osserva in silenzio, aldilà solo spazio vuoto.
Punto il mio faro, mi slego, corro, mi rovescio sul sacco, cado, lo lancio per terra, continuo a correre aldilà, nel nero che non riesco ad illuminare, urlo, chiamo Marco e John, e la fine non è ancora parte del mio sguardo. Provoco una frana, sbatto il ginocchio, bestemmio, rido ad alta voce, agitato, felice, impaurito, arrampico su enormi macigni, urlo ai miei compagni di scendere, e la fine è ancora lontana.
La mia corsa termina su una parete ai piedi di una grande galleria, mi volto, Marco giunge in quel momento a 100 metri di distanza dalla parte opposta della sala, in silenzio, ci rendiamo conto nello stesso istante delle dimensioni di quel vuoto, e nonostante la distanza non avevo difficoltà a vedere il suo sorriso..
Lui cammina con calma, godendosi ogni attimo, fermandosi di tanto in tanto, mi raggiunge, sorride ancora, mi stringe la mano, in modo pacato ma profondo, facendo attenzione a non lasciarsi trasportare da ciò che lo circonda ma al contempo trasportato dall’immensità. Sempre composto e posato esprime i suoi sinceri e ponderati apprezzamenti per ciò che stava vivendo, mentre John senza nemmeno aver visto nulla ululava dalla cima del pozzo la sua voglia di scendere.


Uno sbuffo di fumo leggero, si solleva di nascosto dal cortile della fumeria, ed inizia il suo delicato cammino verso il cielo di Sarajevo. Un cielo terso, in una città di ciottoli, di vicoli stretti, di artigiani che calcano i loro ghirigori sui pentolini di metallo, con cui la sera usano bollire il loro caffè turco. Dalla torre della moschea, un uomo invoca il suo canto antico e sapiente, che entra nei cortili, oltrepassa le case basse, le acque del Miljaka e risuona trai condomini sereni, graffiati ancora dal passato, ma sereni.
Cedo a John la pipa del narghilè, lui la stringe tra le mani come uno scettro. La porta alla bocca, il vaso gorgoglia, si alza il fumo ancora una volta.


La nebbia sale leggera e si disperde, lasciando alla pioggia l’ultima possibilità di amare il sole. I due esplodono in un arcobaleno immenso e terribile, silenzioso ma loquace. Scivoliamo dalle sue parole all’esplorazione in un istante impercettibile.
Quasi senza accorgermene mi ritrovo sul fondo di un buco a scavare sulla sabbia assieme al Guasto, seguendo i racconti del vento di grandi gallerie e immense sale aldilà di quel sifone .
Mani usate come pale si congelano all’aria, grattando sulla sabbia umida, stringono macigni, creano il vuoto. Ci strattoniamo l’uno con l’altro dentro quella strettoia, passandoci il materiale e il coraggio per credere che c’è qualcosa oltre, e che non dobbiamo tutti tornare indietro a testa ingiù a carponi, spingendo con le mani verso un fondo chiuso e pericolante. Ma l’aria sostiene che non è la fine, una galleria, ancora acqua, un cunicolo, una frana, aria che si perde e domanda forse un altro esploratore in un altro momento. Torniamo indietro.
Saliamo le pareti di un pozzo, ghiacciate ma ampie e levigate, più in là un meandro labirintico, un dedalo di gallerie e di punti interrogativi. Uno di questi punti interrogativi diventa un punto esclamativo, quando ci apre la strada ad un tunnel cilindrico di 4 metri di diametro che placido s’addentra nel ventre della montagna. Altra frana, altri cunicoli, l’aria dove và? Boh? Che importa.
Torniamo indietro.
Spostiamo due sassi, un cunicolo ci presenta una frana gentile, che ci somministra un’ennesima strettoia. Ancora una volta ci spingiamo l’un l’altro, ci incitiamo l’un l’altro, ci offendiamo l’un l’altro, ci abbracciamo l‘un l’altro, alle porte di un nuovo vuoto.
Il fondo di un pozzo, sassi mescolati a mandibole, piccoli femori, ossa ingiallite, piovute da un nero più in alto, 30 metri più in alto sulla cima del pozzo. Corriamo giù per la galleria nuova, 50 metri di discesa per poi schiantarci in una parete liscia, e il meandrone che continua poco più alto, che và da qualche parte per qualcun altro in qualche altro giorno. Torniamo indietro.
Per oggi siamo sazi, gonfi di cibo e amicizia e buio, ci ritroviamo seduti sulla frana appena forzata, ognuno sul suo sasso pericolante, ognuno con la sua dose di esplorazione appena iniettata nelle vene, strappo la linguetta dal brick di Tavernello.
John osserva le pareti. A luce spenta, osserva le ombre delle rocce, striscia con la mente sempre più lontano, sempre più all’esterno.
Il Guasto sembra stanco, ma non riesce a frenare l’entusiasmo, agitato da un’intera giornata di esplorazione, dalla “prima esplorazione”; la sua cicca arde veloce, risucchiata dai suoi pensieri.
Ingoio il primo sorso di Tavernello, e osservo i miei compagni. Ora lo capisco, esplorare non mi interessa nulla, in realtà sono qui per condividere questo momento.
Il fumo della legna bagnata oltrepassa il folto degl’alberi, s’innalza aldilà delle chiome delle latifoglie, avvolge le cime dei larici. Annuso il profumo di carne sul fuoco ben prima di giungere al campo, e ne sento il gusto sulla lingua già da molte ore ormai. Da appena ho finito il brick di Tavernello, questa notte, nell’abisso Blu.
Oltrepassiamo correndo i prati folti di cardi e aconito, la traccia segata trai mughi s’infrange su un boschetto inclinato, ammantato di un vago profumo di casa. Un profumo che il Cicca è in grado di ricreare ovunque si trovi. Ci avviciniamo al focolare, treni di domande, bottiglie di vino, salsicce alla brace, il calore del fuoco, e intorno lo stesso silenzio della grotta.
Ringrazio Anna, per il panino fornitoci di nascosto prima di entrare in grotta, nonostante il rigido razionamento alimentare del Cicca.
Parliamo ancora una volta dei nostri sogni di buio e usando l’alcool come slittino pian piano scivolo verso il sonno più nero, raggomitolato davanti al fuoco.
La mattina, la luce mi filtra tra le palpebre e giunge dritta al cervello, mi sveglio. Con un bastone il Cicca cerca le patate tra la cenere, ne trova una, la scarta dalla stagnola, me la porge per colazione. La mando giù con gli ultimi sorsi di grappa.
Aldilà del prato John e il Guasto dormono ancora nella loro tenda montata su un pendio inclinato, quasi sfondandola da un lato.
L’Anna ancora coricata, ha deciso di combattere il freddo della notte dormendo praticamente sopra le braci ardenti.
Il Cicca che non ha bisogno di dormire, beve un sorso di caffè, si arrotola l’ultima sigaretta e quando nemmeno si è volatilizzata l’ultima sbuffata di fumo, è già in cammino per il ritorno. Con in testa il terrore di non aver più tabacco nemmeno in casera e di dover quindi divallare.
Gli altri si svegliano, alcuni vanno a prendere l’acqua, altri nascondono il materiale da grotta in un piccolo covolo, sperando non venga rubato dall’inverno.
Mi trattengo ancora un po’ sul prato di Cimia, solo, per raccogliere dei cardi […]

JP



Il Salone dell'Antica Osteria (Foto: Luigi Russo)

lunedì 30 agosto 2010

PE 2010: la prima volta non si scorda mai

Ed eccomi qui, appena tornato da questa “cinque giorni” in PE. Imprevista. Perchè dopo il weekend di inizio agosto passato lassù ero convinto che "per questa estate non torno, devo lavorare sulla tesi" e invece...
Invece mi ritrovo dieci giorni più tardi a riflettere che mi era bastato un fine settimana, meno di 24 ore, per capire che in quel luogo ci stavo bene, mi ci sentivo a casa e mi sentivo accettato. Non dalle persone, non solo, ma da ogni sasso, da ogni arbusto, da ogni buco...
E così, quando Anna mi ha informato che se volevo un passaggio lei era disponibile, ho cominciato a saltellare per la gioia: per quest'estate non avevo ancora finito con i PE!!!
Il giorno dopo sono a Padova.
Convincere Anna, tornata da appena dodici ore dopo una punta di 5 giorni, a partire il pomeriggio stesso mi costa solo una birra e qualche sigaretta: alle 21 siamo al Boz, con il cielo cupo di nuvole e il rifornimento a base di panino special (pastin, cipolla e formaggio) è indispensabile per affrontare sereni la marcia forzata che ci attende.
A mezzanotte siamo in casera, dove Jean, Jonny e il Cicca ci aspettano. In dono portiamo una bottiglia di buon vino friulano, ed in cambio otteniamo un ottimo minestrone seguito da un impegnativa porzione di “Ammazzamario”.
Mentre mangiamo si fanno i programmi per l'indomani, ma ascolto solo da un orecchio: comincio a sentire la stanchezza della giornata ed il sacco a pelo mi pare un ottimo posto dove passare le successive ore... e poi a me basta essere lì, qualsiasi cosa arriverà, andrà comunque bene......

In mattinata ci organizziamo: in programma abbiamo di arrivare fino al Pian di Cimia, sistemarci per la notte e partire alla ricerca di una grotta/bivacco permanente, da utilizzare come base per le future esplorazioni nella zona.
Cominciamo ad ammassare i beni di prima necessità: 2 litri di vino (poi saggiamente fatti diventare 3), mezzo litro di grappa e tabacco. Poi vengono, come ordine di importanza, viveri e attrezzature varie.
Stipiamo tutto negli zaini, ma prima di partire è d'obbligo uno spuntino a base di soppressa e vino Perla. Alle 12 ci avviamo verso la nostra destinazione, distante 3 ore di tranquillo cammino. Arrivati al Passo, il tempo, indeciso fino a quel momento, fa la sua scelta, e comincia a piovere. Un paio di sigarette al riparo sotto la cerata e arriva la tregua; si riprende il cammino sulle rocce e sull'erba che, causa acqua, sono diventate da “leggermente scivolose” a “bastardamente infingarde”... In ogni caso giungiamo alla piana dove, neanche il tempo di montare le tende, e la tregua finisce: passiamo tre ore ammassati sotto il telone, tirato alla menopeggio, assieme agli zaini, pasteggiando, bevendo, fumando e delirando. La scomodità non riesce però a scalfire il buonumore, né il mio né quello degli altri: saranno sicuramente delle ottime giornate!
Sono le 18 quando all'improvviso la pioggia smette, il cielo su di noi si libera e sopra Belluno, in fondo alla valle, si disegna un magnifico arcobaleno: non è una tregua, questa è la fine delle ostilità!
L'ora però è ormai tarda, per cui una volta montate le tende ci attrezziamo per la cena e poi, dopo la giusta quantità di festeggiamenti, andiamo a letto.
...Il bilancio della prima giornata è terribile: ci resta un solo litro di vino, un quarto di grappa e meno di quaranta cartine per quattro persone (il Cicca è tabacco-indipendente)! La pioggia ha scombinato i piani e ora tutto è più difficile...

La notte è pessima: tra Jonny che russa, il fondo della tenda che assomiglia alle gradinate dell'Euganeo, e l'umidità imperante (visto che da bravo campeggiatore dilettante, degno delle peggiori Giovani Marmotte, non ho considerato necessario il dormibene), non chiudo occhio... e nonostante ciò rimango ancora ottusamente convinto di trovarmi nel posto giusto al momento giusto!
In ogni caso la sveglia delle 5 per vedere la più bella alba che potessi immaginare, è una liberazione...
Spettacolo di luci, colazione e siamo pronti per partire alla ricerca del grottone/rifugio. Basta poco per trovare uno spazio adatto a fare da magazzino: è sufficiente. La scoperta di quello che l'indomani verrà battezzato il “Magazzino dei Cardi” ci permette di dedicare il resto della mattinata al bellissimo sport che è l'avanzata tra i mughi, alla ricerca di qualche altro buchetto vicino al già da poco noto abisso Bluet.
Mentre porcono giulivamente tra gli arbusti a poca distanza da Jonny, notiamo due fori interessanti. Essendo io il più vicino dei due ho l'onore di affacciarmici: il primo ha come biglietto da visita un pozzetto da 3 metri, forse disarrampicabile in libera da qualcuno, ma non certo da me; il secondo ha invece un pozzo un pochino più lungo, circa 5-6 metri... Nel dubbio uso il profondimetro......... Ok, non era per nulla necessario ma intanto non si sa mai, e poi era da troppo tempo che sognavo di lanciare un masso dentro un pozzo e contare...

A pranzo si decide che l'attività in esterna è sufficiente e quindi il pomeriggio si va a continuare l'esplorazione dell'abisso Bluet. Ci sono 3 attrezzature per 4 persone, ma Anna si chiama fuori: saremo Jonny, Jean e io... Non sto più nella pelle! A meno di quattro mesi dalla fine del corso ho l'opportunità di sperimentare di persona quelle sensazioni finora solo lette sui libri di Cesco Sauro, Gobetti, Casteret e Bertarelli, e ascoltate dalle parole dei “vecchi” e navigati punteros: quel misto di eccitazione e timore per ciò a cui stai andando incontro, ovvero un luogo forse vasto, forse piccolo, facile oppure difficile da superare, in poche parole ignoto... e nessuno può dirti cosa troverai, perchè nessuno c'è mai stato. Puoi solo chiedere <> e sperare che Buio ti accolga e non ti cacci per averlo ferito col tuo led ed averlo disturbato con la tua voce ed i tuoi passi...
Quando finalmente i preparativi sono ultimati, io sono inquieto... Ma porco cane! Dopo due giorni di ingiustificato ottimismo, proprio sul più bello mi viene la tremarella?!? Ovviamente comincio lo stesso la discesa, ed al primo frazio, con Jean Pierre che mi guarda dall'alto, mi vergogno per come lo affronto: mi sono incasinato di meno alla prima uscita del corso!!! Il corpo si rifiuta di rispondere alla testa che, da parte sua, è completamente nel pallone senza motivo apparente... ma in qualche modo arrivo in fondo al pozzo, dopo una discesa orribile dal punto di vista mentale oltre che stilistico.
Mentre Jonathan arma avanti, scende anche Jean e con lui comincio a guardarmi finalmente un po' intorno... ed ogni passo è un brutto pensiero che se ne va, mi faccio assorbire dalla grotta, saltello da sasso a sasso e infilo la testa in ogni buchetto, come un bambino curioso alle prese con un nuovo balocco, e ad un tratto capisco che la mia inquietudine era dovuta alla paura di non essere all'altezza, di rallentare il “lavoro dei grandi”, di non riuscire a tornare fuori da solo... A all'improvviso tutto ciò non c'è più: i miei compagni di avventura, mi accorgo, sono lì per giocare e, se possibile, portare a casa qualche metro illuminato in più, e la grotta sembra che oggi voglia stare al gioco: il divertimento può cominciare, e a me è tornato l'entusiasmo che mi ha accompagnato fin da quando sono salito in treno alla volta di Padova! Fa freddo, tira aria, siamo stesi nel fango a scavare con le mani per poi fermarci di nuovo pochi metri più avanti ed aspettare di nuovo, magari in posizioni ancora peggiori, tremo e ho fame... ma in realtà non mi importa, sento il respiro della grotta, ne sono immerso, e mi sorprendo a scoprire che va all'unisono col mio.
Avanziamo, se chiude ci giriamo e torniamo indietro, arrampico senza la minima apprensione pareti che fino al giorno prima avrei definito per me impossibili senza troppe riserve... <>. Mi va, vado e va anche il cunicolo: ora sto urlando agli altri che <>. E continua...
E imparo l'ennesima cosa: l'emozione non è l'essere il primo, l'emozione è vedere che c'è ancora da fare, che il gioco continua, non è finito! In fondo alla galleria passa avanti Jonny, io mi sento soddisfatto... è più o meno la stessa sensazione di quando si va per la prima volta in bici senza rotelle, o a nuotare senza braccioli: non puoi dire di essere autonomo, non ancora, ma ti rendi conto che sei un passetto più vicino a farcela.
... Galleria delle Fantine, sala del Castellino, galleria delle Ciocchette, galleria dello Scherno... e quando sembra di essere arrivati in fondo, basta spostare due sassi e si parte di nuovo, attraverso il Serpente Arcobaleno...
Sono le 20, abbiamo guardato, risolto alcuni interrogativi e ce ne siamo posti altri... e ora comincia a farsi sentire la mia poca esperienza: di colpo mi accorgo che ogni passo è sempre più incerto e pesante, i passaggi più semplici richiedono molta, troppa attenzione...: in poche parole sono cotto.
L'ascesa verso il Cielo è un Inferno, sono veramente lento, ma nonostante questo non mi sento un peso per gli altri: le magie dell'avere una buona compagnia!!!
Arrivo fuori esausto, barcollante tra i mughi, sotto un cielo ormai buio e nuvoloso: tra dolore e fatica, soffrente come un cane, per la testa, che è ormai da tempo alla deriva, nuotano solo pensieri masochistici sul volerlo rifare il prima possibile...

... Poi i ricordi si confondono... La camminata fino al bivacco con i crampi allo stomaco per la fame, un pasto veloce innaffiato con il vino rosso saccheggiato in Isabella da un'eroica Anna (<>... rischio scongiurato!) e il mai così amato sacco a pelo, nella tenda messa in discesa, ancor più scomodo della sera prima: non ho mai dormito così bene...

Il giorno dopo si torna in casera, anche perchè il vino e la grappa sono finiti, così come il tabacco, e quindi siamo seriamente a rischio di instabilità mentale. Nonostante le nuvole non ci sfiora neanche una goccia.
La sera festeggiamo con minestrone, patate, zucchine e cardi. E vino, naturalmente! È l'apoteosi!

Giovedì 19, si torna a Padova dopo le fermate obbligate al Boz, per mangiare e bere, nel bar più a valle, per fumare e bere, e a Pedavena (che tanto eravamo di strada), perchè avevamo sete.
Ed ora sono qui, appena tornato da questa “cinque giorni” in PE. Imprevista, ma che prevedibilmente non sarà l'ultima...


Guasto

Abisso Bluet

JP

Jonny


Alba da Cimia

lunedì 23 agosto 2010

CLAC in festa!



Vi invitiamo a questa iniziativa nata per festeggiare i 35 anni dalla fondazione della Comunità per le Libere Attività Culturali, di cui il Gruppo Speleologico Padovano fa parte.

Il Gruppo Speleologico Padovano partecipa all'evento con le seguenti attività:

  • Tutti i giorni: Mostra fotografica dell'Associazione La Venta; mostra del Gruppo Speleologico Padovano su cartografia e rilievo.
  • Sabato ore 22.00: Proiezione del film L'abisso, di Alessandro Anderloni, soggetto di Francesco Sauro.
  • Domenica ore 21.00: documentario da definire
  • Sabato e domenica, ore 16.00: Visite guidate nelle Mura di Padova (in collaborazione con il Comitato Mura di Padova

Vi aspettiamo il 27, 28 e 29 agosto 2010 nel Parco dell'Ex Macello di Via Cornaro 1 B, a Padova.

L'iniziativa è aperta a tutta la cittadinanza, con INGRESSO LIBERO E GRATUITO

Altre info su: http://www.clacpd.org/

giovedì 19 agosto 2010

Verso Cimia

Esplorare significa percorrere un territorio, imparare a conoscerlo passo dopo passo, capirne i capricci, le stranezze, il carattere... e infine sapersi far guidare da quell'istinto che non nasce da noi, ma dalla nostra unione con quell'ambiente, da una sorta di interazione energetica che fa in modo che già "sappiamo" ancora prima di voltare l'angolo e scoprire cosa ci sia oltre.

Conoscere le viscere di un massiccio carsico è un'operazione intellettuale che richiede anni di fatiche, di sogni, di smentite e di sorprese. E più quel labirinto diventa grande, più ci si ritrova persi e ci si rende conto che il vero obbiettivo non è trovarne l'uscita, ma costruire una geometria, una sorta di mandala gigantesco che sgorga dalla nostra mente e si materializza in un luogo.
Quest'anno il labirinto ci ha portato verso Cimia. Questo posto, una specie di terrazzo sospeso sopra i versanti della Val Falcina, rappresenta per me ancora qualcosa di misterioso e ammaliante. Lontano da qualsiasi punto di appoggio, raggiungibile solo attraverso sentieri ripidissimi. Lontano da tutto. Ma così vicino a quell'idea del sistema che ci stiamo costruendo nella nostra testa da renderla reale.
È stata senz'altro la più bella avventura di questo campo estivo 2010. Decisi fino alla testardaggine a partire, in tre uomini e una quota rosa, più il Mauretto di ritorno da Isabella che non poteva esimersi di fermarsi a farci compagnia.
Poteva non esserci nulla, ma le vene del sistema erano ormai così scoperte che non poteva esimersi da rilassarsi un po' e lasciarci esplorare.
Ne è bastato uno di buco, uno dei sicuramente tanti pozzi che la mughera, sorta di selva dantesca della perdizione, custodisce tra i suoi tentacoli. Grotta bellissima che abbiamo la fortuna di scendere io e Jonny, mentre Mauretto e la Greta si cimentano in improbabili equilibrismi sul mugo alla ricerca di altre entrare all'epica frase di "Ok, ora andiamo!".
Subito non ci credevamo, ma il grande pozzo continuava a scendere con una candida lingua di neve e ghiaccio e ci inghiottiva in gallerie tracheali dai pavimenti ghiacciati. Avrà avuto il mal di gola la signora? E noi stavamo lì a fargli il solletico fumandoci una meravigliosa sigaretta nel cuore di una condotta freatica di 5 metri di diametro. È stata davvero una delle esplorazioni più entusiasmanti che io abbia fatto, sarà perché sembrava tutto così incredibile ma in fondo così lineare e ovvio considerando il resto del sistema che si diramava tentacolare sotto i nostri piedi.

Ora non mi preoccupa quale sarà il futuro dell'Abisso Bluet, il suo passato è già scritto e a noi basta sognare abbastanza per ripercorrerlo fino a riperderci nuovamente nel labirinto a disegnare nuovi percorsi. E poi ci si è aperta la porta del Walalla quando quell'incredibile arcobaleno si è stagliato dalla Gusela al Pizzocco, dopo ore di canti assurdi ad aspettare sotto i faggi grondanti pioggia il ritorno del sereno...

Cesco

Verso Cimia

Cimia

Mauro e il Chulasco



Mauro e l'abitante del Chulasco


Abisso bluet

Bluet un po' fradici e con facce poco intelligenti... vedi Jonny.

martedì 3 agosto 2010

Buona la prima!


Finalmente ci siamo! La mattinata è fantastica: aria frizzante, sole, cielo terso. All’orizzonte i monti si stagliano nitidi, quasi ritagliati su uno sfondo di carta azzurra. La statale sembra filare dritta dritta nel loro cuore, a cercare un po’ di umido e di buio. Penso a quanti vuoti sono rinchiusi sotto al loro mantello verde, a quanti segreti siano intrappolati tra i loro scheletri di pietra.
La strada mi sembra un elastico, prima si tende agganciata ancora ai pensieri di ogni giorno: Michela, i piccoli, la casa, poi mi lancia via verso il buio dei Piani Eterni, verso i loro segreti.
Così mi trovo con Cesco a casa di Marco e Marta e dopo due chiacchiere e un caffè ci dirigiamo al caoron per posizionare la sonda per il sospirato tracciamento, il lavoro ci porta via qualche ora e poi rientriamo al Boz dove becchiamo anche Simone. Solita birra e panino con pastin e … arrivano gli altri in discesa dalla casera, così ci “tocca” un’ultima birra e poi via davvero!
Poi è strada forestale, porzil, casera, pasta, materiali da preparare, sacchi, corde, zaini: rituali ripetuti e ormai consolidati nel tempo.
E alla mattina finalmente è PE10! Basta poco per riprendere confidenza con la grotta, con il suo profumo, col suo respiro, percorrendo luoghi ormai familiari, frazionamenti, passaggi, punti di sosta: un viaggio come sempre, un ritorno a casa, alla Locanda!
E qui si intrecciano speranze, sogni, fatica, nel tentativo di percorrere più strada possibile all’interno della montagna, provando a seguirne il respiro.
Provo a mettere in fila qualcosa di quello che abbiamo fatto:
Il pozzo vuvuzela che ci spara quasi 100 m più sotto dei Bimbi Sperduti, fino a sfiorare i -900, nella speranza di beccare il fantomatico collettore, ma qui l’acqua si prende gioco di noi, chiamandoci da oltre un passaggio impraticabile e facendoci solamente immaginare la via che lei ha scavato nei secoli. Ci riproveremo però, scendendo uno degli altri pozzi lasciati in sospeso!
Il laminatoio TDC che ci fa quasi tirare un sospiro di sollievo quando ci rendiamo conto che chiude: non so chi sarebbe sceso con il materiale per armare un pozzo lì sotto!
Le enormi gallerie di Magor tormentate da faglie, frane, crolli, che sembrano volerci dire che di lì non si passa, che lì solamente il respiro della grotta può permettersi di fare ciò che vuole.
E poi le forre di Moby Dick, altro luogo splendido, dove camini alti anche più di 40 m portano dentro l’acqua dalle creste di Cimia, dove c’è ancora moltissimo da esplorare, sperando di sbucare prima o poi fuori da qualche parte.
Ma è già venerdì ed è ormai ora di timbrare il cartellino per la fine punta e di pensare alla strada che ci separa dall’esterno. Ancora sabbia, sacchi, fango, meandri, acqua, pozzi, e poi la luce che illumina la neve alla base del pozzo d’ingresso: c’è ancora il sole! Un sorso magico di birra e c’è perfino il tempo per scaldarsi con gli ultimi raggi. Un tramonto spettacolare ci accoglie allo spartiacque. Il tempo di telefonare e poi ancora mughi e finalmente casera, minestrone, vino, chiacchiere, grappa.
Anche il rientro a valle è salutato da una giornata eccezionale, tra i preparativi di chi scende e di chi si prepara per la punta in Isabella. Un ultimo sguardo alla piana di Erera e ai Piani Eterni dal porzil e poi giù. Faccio fatica a dirigere il furgone verso Feltre e verso la pianura, mi fermo fuori della valle a guardare ancora una volta su e provo a immaginare l’acqua che scorre dentro alla montagna e penso a quei puntini di luce quasi invisibili che si muovono dentro a una ragnatela di gallerie e pozzi, penso che mai si potrà nemmeno immaginare di esplorarla che rimarrà per sempre solamente regno incontrastato dell’acqua e del buio e sicuramente è giusto che sia così.

Non male come prima punta del campo! quasi 900 m. di rilievo, due nuovi fondi a -870 (pozzo vuvuzela) e -840 (TDC), raggiunto il limite esplorativo a monte di Magor, rilevato ed esplorato tre forre nella zona di Moby Dick (Achab, Pequod, Ismael).
Grazie a Cesco, Mauro, Simone e Omar(vv) che hanno condiviso quest’avventura e naturalmente a Michela che riuscita a sopravvivere alle tre pesti!


Ciccio


Altre foto e racconti su: http://labisso.blogspot.com/2010/08/eterni-piani-eterni.html

venerdì 4 giugno 2010

Racconti dei sopravvissuti al Corso di Introduzione - parte 2

Come ben saprà chiunque pratichi speleologia, l'andar per grotte non è una di quelle attività classificabili come “tranquilli e poco impegnativi svaghi domenicali” ma bensì un agghiacciante coacervo di ginocchia doloranti, giornate passate nelle viscere della terra con temperature di poco al di sopra dello zero, estenuanti risalite su corde (spesso dotate di volontà propria che si ingarbugliano vigliaccamente ovunque), strisciamenti e contorcimenti degni del peggior artista circense ed altre amenità di questo tipo che per decenza mi esimo dall'enumerare.
I profani, invece, hanno solo un'idea molto vaga di cosa significhi speleologia e sono ben lungi dall'essere a conoscenza di simili orrori (salvo frammentarie e discordanti informazioni passategli dal gran fratello masson... ehm volevo dire dall'amico speleologo); questo è il caso dello scrivente che, in un momento di evidente scarso raziocinio, ha deciso di cedere alle velate lusinghe (protrattesi tra l'altro per svariati anni) del suo stimato amico di lunga data Jean Pierre.
Siglata la mia condanna alla pena forte et dura mandando i moduli di iscrizione, ebbi la mia ultima possibilità di redimermi il sabato prima dell'inizio del corso, quando come “battesimo ipogeo” mi ritrovai a sguazzare nelle gelide acque del Buso della Rana, conseguendo il brillante risultato di uscire con uno scarpone senza suola e gli arti inferiori al limite del congelamento.

Dopo questa rinfrescante esperienza, lasciai definitivamente prevalere il masochismo, quindi il mercoledì seguente mi presentai alla prima lezione del corso, dove venni accolto da termini astrusi ed esotici come longe, croll e kilonewton, nonché dalla dogmatica ed inquietante affermazione “ragazzi, dovete fidarvi dell'attrezzatura, non avete scelta”.
Non mancarono oscuri riti misterici, come ad esempio il pestaggio di Cristiano e Jean Pierre ai danni di un Jonathan in veste gladiatoria che si vendicò atrocemente chiudendo dentro la sede del gruppo i suoi aguzzini (compreso il sottoscritto, che era estraneo ai fatti).

Detto questo, avendo ricevuto una proposta che non si può rifiutare, mi cimento nell'improba impresa di riassumere lo svolgimento del 37° corso di introduzione di speleologia:

Le lezioni di corso sono scivolate via tranquillamente per un mese e mezzo: due ore di teoria dove è stata conservata una parvenza di ufficialità e di serietà (inclusa una minacciosa lezione avente come oggetto gli incidenti in grotta) ed il dopo lezione, obbligatoriamente caratterizzato da allegre assunzioni di alcol, sostanza senza la quale nessuno speleologo può millantare di essere tale.

Le domeniche, invece, per cercare di farsi male in qualche maniera, sono state dedicate all'uscita pratica: si è cominciato con le palestre esterne, necessarie per impratichirsi delle tecniche di risalita su corda, ma anche per esercitarsi alla sopraffina arte dell'imprecazione blasfema ed a prendere confidenza con la confortante sensazione di starsene appesi ad una corda con alcune decine di metri di vuoto sotto i piedi (un piacere oserei dire quasi erotico per uno come me, che si terrorizzava a stare sopra ad una scala).
L'A.S. (il che sta per “aspirante speleologo”, non per “aspirante suicida”) è stato poi condotto volente o nolente in grotta, il Sancta Sanctorum dello speleologo (oltre ovviamente all'osteria), che sarà lo scenario per tutta una serie di piacevoli esperienze per i corsisti, citiamo per amor di sintesi:

 Impianti di illuminazione che eufemisticamente si potrebbero definire malfunzionanti (in primis le tanto ingiustamente osannate lampade a carburo)
 Meandri affrontati bestemmiando e invocando oscuri dei appartenenti ad antidiluviani pantheon per riuscire a districarsi
 Simpatiche cascatelle sotterranee che fanno del loro meglio per inzuppare le già provate membra del malcapitato.

Per la categoria “riflessioni sulla caducità della vita” si possono annoverare invece:

 Frazionamenti e traversi dove ci si trova a pensare su quanto sarebbe facile ottenere una ignominiosa e prematura dipartita da questa valle di lacrime, semplicemente sbagliando ad assicurarsi.
 Pozzi infiniti a metà dei quali, ormai relegate in una recondita area della nostra mente le rassicuranti nozioni sulla tenuta dei materiali, ci si sente sfiniti ed incapaci di proseguire oltre e si giunge all'amara constatazione: “sono lontano dalla fine della risalita, ma sufficientemente in alto per fare una fine indegna nel caso si rompesse la corda/l'imbrago/la maglia rapida/l'ancoraggio”; è questo il classico momento di profonda introspezione in cui si arriva a maledire con acredine la scellerata decisione di partecipare al corso ed a lanciare anatemi verso il machiavellico figuro che vi ha irretito a prenderne parte.

Una volta riemersi dalla grotta (incredibilmente incolumi, per lo meno fisicamente) ci si darà alla deboscia più sfrenata, probabile retaggio di tempi antichi nei quali uscire dalla grotta indenni era un evento da festeggiare con orge e baccanali: vale a dire un primo spuntino (consistente in alimenti che farebbero inneggiare alla jihad un dietologo) consumato indecentemente tra i lamenti dei feriti, tute in condizioni igieniche raccapriccianti e mani a dir poco sordide.
Per concludere l'uscita, recuperato un contegno consono al reinserimento nel mondo civile, gli speleologi si recano nelle trattorie della zona per consumare la meritata cena e, perché no, assopirsi con la faccia sul piatto nei casi più estremi (il sottoscritto ci è andato molto vicino).

Come diceva Giovanni Falcone: “tutte le cose umane hanno un inizio e una fine” e disgraziatamente, il corso di speleologia, malgrado i suoi innumerevoli punti di contatto con il divino (a tutti i livelli), non fa eccezione: esso si concluderà i primi di maggio, dopo una divertentissima uscita che mi ha ricordato molto i camposcuola estivi con la parrocchia (dopo quest'affermazione penso dovrò riparare in Siberia per sfuggire alla vendetta degli speleologi oltraggiati dal paragone).

Dopo essermi fatto, a corso terminato, nell'ordine: 131 metri di risalita, con tanto di avvicinamento alla grotta in sette in una macchina, a mo' di carro bestiame (Spluga della Preta); un'allucinante uscita completamente regolata dalle Leggi di Murphy (Lusiana); un abominevole meandro fangoso con strettoia finale, molto simile ad un parto con tanto di levatrice per aiutarmi ad uscire (Capura); posso affermare:


LA SPELEOLOGIA CREA DIPENDENZA, NON COMINCIARE

Vipera



Racconti dei sopravvissuti al Corso di Introduzione - parte 1

 I nostri ex corsisti.. nonchè aspiranti speleologi del GSP hanno voluto raccontarci le loro impressioni sulla speleologia...da notare che gli autori di questi racconti proprio grazie al corso si sono incontrati e hanno scoperto di essere parenti..!!!

Quando ho deciso di iscrivermi al corso (grazie Vania!), superficialmente vedevo la speleologia come un camminar per grotte, come si fa in un sentiero di montagna o ad un giretto domenicale..poi durante le varie uscite le idee sono iniziate a cambiare, e pensieri e immagini e odori di abissi, di persone e di fiammette di carburo hanno iniziato a stazionare nel mio cervello. Addirittura il vuoto inizialmente mi spaventava assai (mica sapevo che speleologia = calarsi in pozzi senza dio!) ma adesso come per magia, il problema non sussiste più..

Il corso di speleologia fa ritrovare addirittura parenti!!! E chi sapeva che il mitico Vipera era mio cccuggino?!?! e che le sue ripetute imprecazioni contro ogni religione conosciuta mi avrebbero accompagnato tra i meandri, i pozzi e le fessure!?! (l’ultima uscita memorabile, con tikka che gli scivola e precipita dal pozzo seguita da una farcitura di bestemmie a fiume..)

Sono felice di avere condiviso questa iniziazione con i miei compari di corso: albert, ari, fro, vipera, wind, pietro, daniele, fausto e purtroppo solo un po’ claudia..e con i quali le maledizioni contro il povero carburo sono arrivate alte nel cielo..

Grazie ai nostri mentori (non so se sia giusto il plurale..) che ci hanno insegnato i rudimenti per evitare la morte, e ci hanno fatto assaporare i piaceri del buio..e del vino (che già erano conosciuti, ma ora ancora più apprezzati!!)

Insomma con questa esperienza ho iniziato a conoscere davvero cosa si cela lì dove il comune essere umano neanche si sogna di mettere piede..e sto scoprendo anche cosa si cela lì, dietro a queste figure che i piedi, in quei buchi, ce li mettono più che volentieri!! È oso dire…massimo rispetto per costoro e per questa incredibile e affascinante attività che è la speleologia!


Grazie a tutti

Fede (detto Guercio)


mercoledì 10 marzo 2010

Delle uscite in grotta e delle relazioni

Una scrupolosa e difficilissima ricerca negli archivi del gruppo ha riportato alla luce la relazione di un'uscita nella grotta Capura. Soffiata via la polvere dal foglio, ecco cos'è stato trovato scritto...

RELAZIONE USCITA IN CAPURA 22/07/2007

MATERIALE: materiale speleo personale, no corde, no attacchi, no cibo, no voglia, 1 brocca di demenza.

PARTECIPANTI DEL GSP: John, Jean, Anna, Piromane, Damigiana da 15 litri di rosso

Padova ore 20:00
Arriva l’Anna in macchina, con sua madre e rimane subito colpita da questa scena emblematica formata da tre speleo seduti intorno ad una damigiana che provano ad innescare con un tubo una cascata del dolce nettare, mentre sui balconi di via Pescarotto si ammirano alcuni esseri umani dal dubbio sesso che ti richiamano ai loro appartamenti, dai quali fuoriescono rantoli animaleschi e spaventosi.
Con un rostro autocostruito arpioniamo la macchina dell’Anna, che già sgommava sulla via di fuga e costringiamo sua madre a fermare il mezzo. Preleviamo la longilinea speleologa e spieghiamo al genitore, con la precisione dell’ebrezza, la nostra destinazione.
Lasciando erroneamente la donna con la convinzione di essere diretti a Cartura, nella bassa Padovana, ci inscatoliamo tutti e cinque nei tre posti del furgone e partiamo in direzione Capura, nei Colli Berici.

Luogo ignoto ore 21:00
Sbagliamo strada così tante volte che ci ritroviamo su quella giusta.
Andrea sfonda il terzo posto di blocco dei carabinieri, che tentano di fermarci da mezz’ora, avendo notato che la cabina passeggeri del furgone è così piena di cose e persone da sembrare un quadro di Picasso.

Fosso ore 21:30
Andrea va fuori strada con il furgone.

Colli Berici ore 22:00
Inspiegabilmente raggiungiamo la fattoria dove dobbiamo lasciare il mezzo e subito cediamo all’irresistibile idea di intrecciare dei cerchi nel grano per simulare un atterraggio alieno.
Poi raccogliamo il materiale e schiamazziamo mentre passiamo di fronte alla casa: avendo avvertito il fattore nel pomeriggio della possibilità di schiamazzi durante la nostra uscita, ci è sembrato obblighevole mantenere la promessa.

Ingresso cava ore 23:00
All’ingresso della cava che contiene a sua volta l’ingresso della Capura, John ha una visione del papa che gli indica la strada corretta da seguire.

Ingresso Capura ore 23:30
Grazie a Benedetto arriviamo all’inizio di quella bestemmia pietrificata che è la Capura, un meandro di un paio di centinaia di metri, con cinque o sei strettoie da cui bisogna estrudersi per arrivare alla sala finale.
Lasciamo aspettare il nostro compagno dal nome altisonante “damigiana da 15 litri di rosso” all’ingresso di una grotta che non fa per lui e ci insinuiamo nel primo sinuoso tratto di fessura.

Metà strada ore 23:50
Vedendo l’Anna guizzare tra le strettoie aiutata dalla sua piccola mole, Andrea mi ricorda ciò che pensa in merito a Gesù Cristo.

Tre quarti di strada ore 24:00
L’Anna paga per il meteorismo di Andrea.
John infila la testa dentro una nicchia e scopre una piccola saletta con un rivolo d’acqua che più in basso si getta in una pozza, mentre osserva pensieroso, mi informa che il posto è sicuramente inesplorato e senza dubbio più fondo di sessanta metri, si arroga quindi il diritto di cambiare nome della grotta in Abisso Scorèsa, in memoria del meteorismo di Andrea.

Sala finale ore 24:10
Dimenticandoci dell’esistenza di un comodo by-pass, imbocchiamo tutti la temibile strettoia finale:
dalle dimensioni di un furetto e mezzo, questa strettoia sbuca fuori nel pavimento della sala e rappresenta il punto in cui vengono convogliate tutte le acque della grotta.
Mentre passavamo uno ad uno notai la gente prendersela di volta in volta con santi ed entità diverse a seconda del problema che incontravano e subito mi resi conto della possibilità di studiare il fenomeno a fini scientifici tirando Andrea per le gambe nel punto più critico del passaggio.
Mangiamo e fumiamo, non vedendo arrivare John, notiamo che da tre quarti d’ora era incastrato nella strettoia sotto un vivace getto d’acqua. Andrea fa il giro dal by-pass per prenderlo da dietro, io lo prendo subito da davanti e con molta dolcezza, quasi con erotismo, lo liberiamo da quella imbarazzante situazione senza fargli il minimo graffio. (NB a distanza di anni John porterà ancora sul corpo ben visibili i segni dell’accaduto).

Ritorno ore 24:45
Più o meno è simile all’andata.

Uscita ore 1:30
Troviamo il nostro compagno “damigiana da 15 litri di rosso” che ci aspetta con un piatto caldo, in questi momenti si rivela sempre la persona più insostituibile.
Anna ormai calva si dirige saltellando verso il bosco impazzita per aver passato due ore a strisciare dietro ad Andrea.
Andrea colto da demenza esplorativa prova a forzare una strettoia sulla parete opposta all’ingresso, non vedendo che usciva di nuovo nella cava dopo pochi metri di cunicolo, accortosi dell’errore, senza nessun motivo va in panico e si incastra.
John sentendo una goccia cadere su una lamiera, si convince della presenza di leprecauni all’interno della cava e parte da solo nella ricerca.
Io ebbi una lunga discussione con l’unico rimasto salubre, l’amico “damigiana da 15 litri di rosso”ma alla fine svanì anche lui, da buon speleologo, nei meandri del mio corpo.


JeanPierre

martedì 9 febbraio 2010

Appuntamenti al Buio 2010

Il Gruppo Speleologico Padovano CAI vuole offrire a tutti l’occasione per addentrarsi nelle profondità della Terra.
Vi è un mondo imprigionato nelle pieghe della terra, raschiato dalla trasparenza dei suoi abitanti, corroso dalle mille lacrime che lì vagano. Un mondo che racchiude il significato di ogni vita, un mondo che luce non brama, le cui parole diventano brividi sulla pelle; è in questo mondo che intendiamo guidarti, sperimentando le forme più oscure della paura, strappando a te stesso la forza per andare avanti, passo dopo passo, cunicolo dopo cunicolo, in costante ricerca del buio; più profondo di quanto possiate credere, più oscuro di quanto abbiate mai osato immaginare, questa è la speleologia…
Quest'anno una serata sarà dedicata al canyoning, per permettere a tutti di addentrarsi in un mondo fatto di roccia levigata e acqua tuonante, una dimensione della natura senza dubbio ostile; una disciplina senza dubbio severa ma che concede tuttavia ampio spazio ad aspetti ludici e sportivi.

Tutte le sarate avranno luogo a partire dalle ore 21.00 presso la sede del Club Sommozzatori Padova - via A. Cornaro 1, 35128 Padova. Ingresso libero.

lunedì 8 febbraio 2010

Corso di Introduzione alla Speleologia 2010

Hai paura anche di salire in ascensore?
Hai terrore del buio?
Temi incontri strani nelle tenebre?
Il fango, lo stretto e il freddo ti fanno inorridire?
Forse la speleologia non fa per te, ma se vuoi metterti veramente alla prova…ecco la tua grande occasione:


per non farsi ingannare dalle apparenze
per cambiare il punto di vista sul mondo
per entrate nel cuore delle montagne

Faremo di tutto perché tu riesca a superare le tue paure! Ti faremo viaggiare insieme all’acqua sotterranea nei profondi abissi della terra. Ti faremo visitare il regno delle tenebre più fitte dove potrai conoscere tutte le tonalità di buio che colorano la notte senza tempo delle profondità più remote. Ti insegneremo ad apprezzare la luce ed il dolce tepore del sole come non avresti mai immaginato di fare. Respireremo insieme il vento sotterraneo cha fa vivere le montagne. Osserveremo insieme il lavoro millenario dell’acqua sulla roccia.

Dopo avere vissuto tutto ciò il tuo sguardo sul mondo che ti circonda non sarà più lo stesso. Non potrai più toglierti di dosso il profumo dell’abisso, il sapore del fango, l’odore del carburo, l’emozione di esplorare le montagne dal loro interno. Il mondo sotto di noi è un sogno che può diventare realtà. Se hai voglia di provare … fatti sotto!


37° corso di Introduzione alla Speleologia  marzo-maggio 2010


ISCRIZIONI
Dall' 1 al 5 marzo presso la sede CAI di Padova, in galleria San Bernardino 5/10, dalle 17,30 alle 19,30.
       ·  Portare una fototessera;
       ·  Per i minorenni è necessaria la presenza di uno dei genitori.
Per informazioni: Cristiano (3496498941); Giulia (3407743795)
                            gruppospeleologicopadovano@gmail.com


Programma di massima

LEZIONI TEORICHE
Mercoledì 17-03 Presentazione del corso-Tecniche di progressione in grotta
Mercoledì 24-03 Antropologia e misteri in grotta
Mercoledì 31-03 Geologia e Carsismo
Mercoledì 07-04 Biospeleologia –Idrologia
Mercoledì 14-04 Prevenzione degli incidenti in grotta –Storia della speleologia
Mercoledì 21-04 Topografia e rilievo ipogeo
Mercoledì 28-04 Attività del gruppo speleologico padovano

USCITE PRATICHE
Domenica 28-03 Grotta sub orizzontale
Domenica 21-03 1° palestra (tecniche progressione verticale su corda)
Domenica 11-04 2° Palestra (tecniche progressione verticale su corda)
Domenica 18-04 Grotta verticale
Sabato 24-04 Uscita di Rilievo
Domenica 25-04 Grotta verticale
Sabato/Domenica 1/2-05 Uscita di fine corso

Le lezioni teoriche si terranno il mercoledì precedente all’uscita pratica alle ore 21.00 presso la sede della Sezione di Padova del C.A.I.
Le mete delle uscite pratiche verranno decise in base al numero degli allievi ed alle condizioni atmosferiche.

Si invitano tutti i partecipanti al corso a collaborare alla preparazione ed alla manutenzione del materiale collettivo. L’appuntamento (naturalmente per chi può) è per ogni venerdì alle ore 18.00 presso la sede - magazzino del G.S.P. (Via Cornaro 1/b, c/o CLAC).

lunedì 18 gennaio 2010

L'alba sui Piani Eterni



Lentamente la sommità di Cimia prende colore, si accende, sfiorata dai raggi di un sole che è ancora nascosto alla vista.
E’ l’istante appena prima dell’alba. Ciccio si cambia con calma, quasi come se nella sua mente non ci fosse posto per il gelo e la fatica. Disseppelisco lo zaino dalla sua coperta di neve. Riscaldo con le mani gelate gli attrezzi bloccati dal freddo. Mi levo di dosso i brandelli rimasti della mia vecchia tuta. Dopo qualche minuto, lontana dal mio calore, la tuta si gela, diventa rigida come cartone.
John è quasi fuori. Non lo vedo, ma lo sento bestemmiare contro il vento, che sibilando si incanala nell’ingresso verticale della grotta e gela tutto ciò che trova nel suo percorso.
Indosso le ciaspe. Il sole s’innalza. Porgo la grappa a John, è l’unica cosa rimasta liquida.
Mentre la beve, i suoi occhi traboccano di immagini.
Larry è già uscito dal pozzo, e resta fermo qualche istante ad osservare l’esterno.
Mauro subito dietro indossa il suo sorriso che contagia. Il viso sereno, il passamontagna grigio topo, i moccoli che dondolano, quasi ipnotici.
In fondo è questo il momento che più amo, appena dopo essere usciti, appena prima dell’alba, appena prima di tornare a casa, appena dopo essere tornati da un viaggio. Tutto quello che stà per fuggire, ma è ancora vivo.
E più in basso, all’interno, un universo di dubbi. Dove và quel pozzo? Dove porta quella sala? Da dove arriva quella forra? Come mai quel camino tira aria? Perché mai stò strisciando in questo cunicolo marcio? Com’è possibile che stiamo esplorando da sei ore e non vediamo la fine? E’ un sogno? Forse sono ancora in un altro paese.
Tornare laggiù è stato come ritrovare una vecchia amica che ho abbandonato. Si ricomincia lentamente. Appena ritrovati, Lei un po’ incazzata, mi saluta splendida e indifferente. Mi spinge, mi strattona, mi frulla per i rami nord-ovest e i cinghiali fino a rigurgitarmi, sballottato, alla locanda dove finalmente dormiamo.
Il giorno successivo lo passo a chiedere umile perdono, strascicando nei laminatoi bagnati e marci, portando avanti un irritante rilievo per cunicoli che girano su se stessi e che ti trascinano nella fanghiglia per non portarti da nessuna parte.
Il terzo giorno, perdonato solo in parte, Lei mi illude di mostrarsi. Lentamente mi porta alle soglie dell’esplorazione. Purtroppo, mi rendo conto quasi subito che la signora dei Piani Eterni era ancora offesa, e più che mai decisa ad illudermi per farmela pagare. Seguiranno ore di esplorazione sul più apppestato cunicolo in cui abbia mai rantolato. In cui ancora adesso risuonano, sono convinto, le eresie di John.
Al colmo dello sfinimento Lei decide di mettere le cose in chiaro e di vendicarsi dolcemente ancora una volta. Quel ramo esplorato con tanta fatica, riporta nient’altro che sulla galleria principale.
Cala la notte anche sulla grotta, sono un po’ triste, non riesco a far la pace con Lei. Non mi aspetto più nulla, spero solo non abbia voglia di divertirsi anche l’indomani.
Arriva il quarto giorno, senza sapere il perché, mi sento attratto dal ramo di Moby Dick. Era qualche giorno che avevo in testa il motivetto della canzone dei Led Zeppelin. Mah.. Forse ero un po’ suggestionato dal nome.
Un bel po’ di ore più tardi, Larry, John ed io, ci incontriamo con Ciccio e Mauro riunendo le due squadre, entrambe di ritorno da una giornata incredibile, in cui si sono schiuse le porte di un nuovo labirinto, che si accosta agl’altri labirinti in cui già ci stavamo perdendo.
Torrenti ci attraversano la strada guidandoci in nuove sale, a cui si affacciano nuove gallerie, che provengono da nuove forre, che portano a nuove gallerie e così all’infinito; vaghiamo dentro di “lei”.
Lei che ridendo ci sospinge verso i nostri dubbi.
Forse per un istante, quel giorno, deve avermi perdonato.
La sera, tutti riversiamo sul bancone della locanda i nostri racconti. Festeggiamo come se fossimo nella più sordida delle osterie, sbraitando, ridendo, battendo i pugni sulla tavola di fronte a questa oste invisibile.
Poi restiamo in silenzio.
Sono gonfio di emozioni. L’ultima mezza giornata che ci rimane non desidero nemmeno abbandonare la locanda, mi è sufficiente stare là. In compagnia della nostra oste.
Mi prendo cura di Lei, sistemo le nostre cianfrusaglie, pulisco il bancone, ramazzo il pavimento, mi sento sereno.
Sono passati sei giorni, i miei bloccanti risalgono lenti sulla corda, riprendo a parlare con l’oscurità. Come se non fosse successo nulla. Come se non l’avessi mai abbandonata.
Lei mi risponde placida e forte, mi rassicura, mi sospinge. Poco prima d’uscire, col suo fiato vorticoso mi ammonisce un’ultima volta, e raggelo, prima di rivedere l’esterno.

JP

lunedì 11 gennaio 2010

Vacanze alla Locanda

- Una volta sottoterra, - sentenziò, - si sa esattamente dove ci si trova. Nulla può succederci, e nulla può arrivare fino a noi. Si è padroni di noi, e non si deve consultare gli altri o prestar mente a quel che dicono. Le cose procedono come sulla terra, e si lasciano procedere, senza preoccuparsene. Quando garba, si risale, e trovi le cose che t’aspettano. – Il Tasso la fissò raggiante. – Precisamente quel che sostengo io, - replicò. – Non c’è sicurezza, o pace e tranquillità, che sottoterra.
( KENNETH GRAHAME – IL VENTO NEI SALICI)


Anche questo campo invernale in PE è finito.
Alcuni numeri per tirare un po’ le somme di quanto si è combinato lì sotto:
la prima squadra è entrata il 27 dicembre in mattinata e l’ultima è uscita nella mattina dell’8 gennaio, tre gruppi si sono alternati al campo interno con permanenze medie di 5 giorni, in tutto 13 speleo sono entrati in grotta, la locanda è stata “okkupata” per 12 giorni consecutivi, sono stati rilevati quasi 3 chilometri di gallerie, esplorato almeno un altro chilometro di nuove diramazioni, sono stati individuati parecchi punti veramente interessanti in cui concentrare gli sforzi esplorativi di quest’estate.
Tutto è andato bene, anche se un po’ di preoccupazione per il ritardo della comunicazione dell’uscita dell’ultima punta nel bel mezzo di una gran nevicata c’è stata.

Per me, come sempre, è stata un’esperienza fantastica. Stare giù lì per cinque giorni in splendida compagnia, in una grotta fantastica, esplorando ancora nuovi luoghi mi ha ricaricato veramente le pile.
Il complesso lì sotto non sembra essersi ancora stancato di giocare con noi, ogni tanto con una corrente d’aria ci indica nuove vie da percorrere e penso che si diverta anche lui a vederci scorrazzare, strisciare, scendere in pozzi e percorrere gallerie.
E il gioco continua…

Alcune delle cose più interessanti che abbiamo visto:
il pozzo alla fine della galleria dei punteros (-780) è stato sceso per circa 70-80 mt. ma non si è ancora toccato il fondo, mancano 20-30 mt., ma nella prima punta mancavano attacchi, nella seconda le batterie del trapano hanno fatto sciopero (bisognava lavorare su pendoli e traversi per tirasi fuori dall’acqua…) e nella terza si è preferito lavorare in altre zone meglio conosciute (insomma per sta volta non si è concesso completamente…);
il nuovo ramo ascendente di Magor, oltre il passaggio della Zoccolona, che con un’aria furibonda punta dritto a sud, verso le pareti delle creste di Cimia: ambienti grandi con sale (come la sala dei Minimei) e gallerie fossili che vi entrano dentro. Da vedere per bene e capire dove va a finire tutta quell’aria;
il reticolo di gallerione spettacolari dello Zio Tom;
l’anello della Caduta degli Dei che si dirama dalle gallerie dei punteros;
le varie diramazioni a valle e a monte della forra Achab veramente molto interessanti e promettenti;
ci si è poi portati ben avanti con il rilievo e questo permetterà di ragionare meglio sul grande casino che c’è lì sotto.

Alcune cose memorabili:
il rientro alla grande di Jean Pierre, che oltre al fiuto esplorativo ha messo a frutto la sua esperienza di chef maturata tra i canguri;
la prima alla locanda di Larry e Giulio;
il cenone dell’ultimo dell’anno alla locanda (menù by JP e Jon...);
il tanto atteso parto di Mauro, accolto con gioia da tutti;
le sedute di analisi collettiva tenute da Larry nelle serate sotto la tenda;
le dotte disquisizioni sugli usi e costumi nel medio evo di Jonathan e Mauro;
il traverso ghiacciato sotto il pozzo d’ingresso che ha fatto bestemmiare più di qualcuno;
il freddo bastardo all’uscita sugli stolti;
il minestrone del Cica in casera (ma anche il radicchio tardivo al forno non era male…)

Alcune amenità varie che hanno allietato il campo:
le batterie dell’Hitachi 18v giustiziate sul posto;
la febbre del “punteros maximo” Francisco ormai fiaccato nel corpo dalla prolungata permanenza nelle grotte tropicali;
il dito sminchiato della Giulia;
il laminatoio finale di bimbi sperduti che ha fatto godere come non mai Pierga e Marco;
l’amore eterno scoppiato tra Larry e la Zoccolona.

Alcuni dubbi però sono rimasti in tutti noi:
cosa ci sarà dopo quegli ultimi 30 metri di pozzo?
Doveccazzo va a finire la botta di aria che tira a Magor?

Ma soprattutto:
Saranno poi servite a qualcosa le raccomandazioni al giovine Simone da parte degli esperti?
Ma nel medio evo doveccazzo cagava e pisciava ‘sta gente?

Insomma grandi dubbi che non ci lasceranno dormire sonni tranquilli fino alla prossima punta.

Un grazie a tutti gli eternauti!

Saludos!

Ciccio

In grotta sono entrati: Marco U, Pierga, Simone, Marco B, Luca, Ciccio, Larry, Jean Pierre, Mauro, Jonathan, Tebe, Dado, Giulio.
Fuori hanno dato un grandissimo supporto il Cica (come sempre grandioso!), Giulia, Francesco, Paolo, Lanfranco, Cinzia, Lorena, Domenico, Greta, Lea e forse qualche altro che adesso ho dimenticato.